Acqua minerale e concessioni: così svendiamo le sorgenti all’industria

acqua minerale

Nonostante l’Italia sia il secondo paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia, gli unici a non guadagnarci sono i cittadini che vedono arrivare nelle casse pubbliche pochi spicci. Basterebbe poco per invertire la rotta

Nel numero di agosto del Salvagente, il test su 19 marche di acque minerali. In quasi tutte abbiamo trovato residui di pesticidi, per leggerlo clicca qui

Oltre 100 imprese concessionarie e un giro d’affari di 3,1 miliardi di euro. Bastano queste due cifre per dare un’idea degli interessi enormi che in Italia si muovono quando si parla di acqua minerale. Un settore in cui le casse delle società che imbottigliano sono ben garantiti, mentre quelli dei cittadini italiani, sia dal punto di vista della qualità della vita che del rimpinguamento delle casse pubbliche, appaiono miseri e bistrattati. Basti pensare che per le 295 concessioni in attività in Italia, le società pagano complessivamente solo 18 milioni di euro, con una media di appena un millesimo di euro al litro. Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia e membro del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, racconta al Salvagente: “Sono almeno 15 anni che si è iniziato a parlare della necessità di rivedere i canoni di concessione delle acque minerali. In larga parte dei casi, il canone di concessione dell’acqua minerale ha un costo per le aziende che imbottigliano che per mille litri è inferiore a quello che viene pagato dalle famiglie utenti per il servizio idrico integrato (che include acquedotto, fornitura e depurazione, ndr), che oggi mediamente è di circa 2,50 euro al metro cubo, secondo Cittadinanzattiva”. Per Luca Martinelli, il motivo di costi di concessione così bassi è dovuto al fatto che “sostanzialmente sono beni pubblici di cui non viene considerato il valore, ed è un po’ una tragedia rendersi conto che purtroppo i beni pubblici vengono svenduti”.

Sì, voglio leggere il numero del Salvagente con il test sulle acque minerali

“La risposta delle istituzioni è minima – continua Martinelli – dove con istituzioni il riferimento è ovviamente alle Regioni, che sono i soggetti titolari della potestà di regolare le concessioni delle acque minerali”. Per avere una concessione, infatti, un’azienda presenta all’ente locale la richiesta di effettuare ricerche per l’imbottigliamento, poi, una volta trovata l’acqua minerale, deve farla analizzare dal ministero della Salute e ottenere la concessione a imbottigliare acqua minerale. “Una trafila non facile, e un iter anche abbastanza lungo, tanto che negli ultimi anni si è arrivati oltre ogni possibile frontiera, con un’azienda che per avviare l’attività con un iter più rapido ha colto la possibilità di un business nella vendita di acqua in tetrapack, con la demonizzazione della plastica, ma lo ha fatto usando l’acqua della rete acquedottistica, quella di rubinetto”. Il giornalista di Altreconomia fa riferimento ai marchi Aqualy e Acquainbrick di Ly Company Italia Srl, che vende acqua comune lavorata con osmosi, remineralizzazione e microfiltrazione.

Come invertire la rotta

Come risalire la china? Per Luca Martinelli c’è la necessità innanzitutto di “un governo della risorsa che sia pubblico, perché soltanto il pubblico ha la capacità di tenere insieme la complessità di tutti i temi che riguardano l’acqua”. Si dovrebbe, poi, “iniziare a immaginare che l’acqua debba essere imbottigliata solo in vetro con l’obbligo di gestire il deposito cauzionale per la raccolta e successivo riutilizzo. Questo ovviamente cambierebbe radicalmente il modello di distribuzione. E se cambia il modello di distribuzione cambia anche il modello di consumo”.

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Il nuovo test: su 18 acque minerali solo 4 senza tracce di pesticidi