Liste d’attesa, Crisanti contro misure del governo: spostano solo soldi ai privati

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Andrea Crisanti, microbiologo e senatore Pd, propone su change una legge che corregge il sistema dell’intramoenia per garantire l’accesso alla sanità pubblica a tutti i cittadini e critica le misure del ministro Schillaci, il cosiddetto decreto liste d’attesa che ha ricevuto il via libera in Senato e approderà alla Camera il prossimo 23 luglio

Liste d’attesa sempre più lunghe che, magicamente, si accorciano quando il cittadino (che può permetterselo) si rivolge all’intramoenia. È, purtroppo, il quadro della sanità italiana che dovrebbe garantire a tutti l’accesso alle cure, ma di fatto predilige i cittadini che possono pagare. La storia del regime intramoenia, nel nostro Paese, va avanti da oltre 30 anni, da quando il decreto legge 502 del 1992 ha permesso ai medici l’esercizio della libera professione all’interno delle strutture ospedaliere pubbliche, riservando spazi appositi e istituendo “camere a pagamento per una quota non inferiore al 5% e non superiore al 10% dei posti letto complessivi”.
È evidente che negli anni la situazione sia sfuggita di mano e oggi ci troviamo con liste d’attesa interminabili e un numero sempre maggiore di cittadini che rinunciano a curarsi perché non hanno la possibilità di pagare cifre da sanità privata per effettuare una visita. Oggi l’intramoenia viene percepita come socialmente odiosa per l’asimmetria ingiustificabile che crea tra costi e tempi di attesa con il servizio pubblico che, di fatto, viene reso impraticabile.
Per superare questa situazione critica, Andrea Crisanti, microbiologo e dal 2022 senatore del Pd, propone una legge che restituisce l’accesso paritario alla sanità pubblica per tutti i cittadini. Il progetto di legge, che si può sostenere firmando la petizione su Change.org, propone due novità:

  • nel caso in cui i tempi di attesa del Cup superino del 50% quelli dell’intramoenia, il cittadino avrà accesso automatico e gratuito alle prestazioni in intramoenia attribuendo le spese all’azienda sanitaria.
  • nel caso in cui i tempi di attesa in regime ordinario siano superiori del 75% a quelli per l’erogazione di prestazioni intramoenia, questa viene momentaneamente sospesa per comprendere le ragioni di questa asimmetria e fino al suo riequilibrio.

Abbiamo raggiunto Andrea Crisanti al telefono per fargli alcune domande.

Dottor Crisanti, lei stesso nella petizione spiega che l’intramoenia è stata introdotta per consentire al paziente di scegliere il professionista che preferiva e, nello stesso tempo, di tutelare il diritto alla libera professione del medico. Oggi queste ragioni hanno ancora motivo di esistere?
Certo che sono ancora valide. Noi con questa proposta di legge non vogliamo demonizzare l’intramoenia, ma inserire dei correttivi in un sistema che viene strumentalmente utilizzato per dare la colpa ai medici. Se ci sono delle storture sui tempi di attesa è chiaro che la responsabilità è dell’azienda sanitaria che deve pagare per le inefficienze dei propri modelli organizzativi. Supponiamo che l’azienda nel reparto di urologia abbia solo tre medici, che devono coprire tutti i turni facendo solo le loro 36 ore perché, in teoria, non possono fare straordinario perché non gli viene pagato. Negli anni il Sistema sanitario nazionale ha accumulato milioni di ore di straordinari non pagati, però siamo tutti d’accordo che se un medico sta operando, e nel frattempo ha finito le sue ore, non può interrompere l’operazione. Di fatto, però, prosegue il suo lavoro gratis. Noi vogliamo che venga tutelato il diritto del cittadino ad essere curato e quello del medico a lavorare ed è l’azienda sanitaria che deve garantirlo.

Di fatto oggi i tempi di prenotazione attraverso il Cup sono quasi sempre superiori del 50%, se non del 75%, rispetto all’intramoenia. Non è infrequente che il cittadino debba attendere diversi mesi per effettuare un’ecografia di controllo con il Ssn mentre, a pagamento, può prenotarla in pochi giorni. In base alla proposta di legge quindi quasi il 100% delle prestazioni rischia di essere a carico dell’azienda sanitaria. Non è meglio proporre direttamente l’abolizione del regime?
Ci sono delle situazioni patologiche in cui la differenza dei tempi di attesa tra il Ssn e l’intramoemia è superiore al 75% e noi ne chiediamo la sospensione proprio per poterle correggere. Con questa proposta valorizziamo proprio il servizio pubblico perché con l’intramoenia le aziende sanitarie ricevono il 40% delle risorse erogate. Se demandiamo tutto al privato facciamo un doppio danno perché da una parte il cittadino avrà dei costi ancora più elevati, anche del 100%, e dall’altra togliamo risorse alle strutture pubbliche. Ricordiamoci che l’intramoenia costa sempre meno che andarsi a curare dai privati.

Secondo lei negli anni non si è creata una situazione di conflitto che pregiudica l’attività pubblica del servizio sanitario nazionale?
Io penso che l’intramoenia sia un falso problema, piuttosto un sintomo che possiamo correggere con la legge che abbiamo proposto. Il tema da porsi è come cambiare il servizio sanitario pubblico per renderlo più equo verso i cittadini, indipendentemente dal reddito o dalla Regione di provenienza. Da un lato abbiamo il nostro disegno di legge, che dà delle garanzie a tutti, dall’altro lato c’è la proposta del ministro della Salute Orazio Schillaci che propone di limitare l’intamoenia, riducendo un’entrata importante per le aziende sanitarie e spostando le risorse verso il privato. Credo che questi soldi debbano essere utilizzati per pagare gli straordinari dei medici che non vengono pagati da tempo. Credo che questa sia una vera follia.

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Sul decreto liste d’attesa, attualmente in esame al Senato, è in atto uno scontro politico tra Regioni e ministero della Salute. Le prime hanno chiesto lo stralcio dell’articolo 2 che propone l’istituzione, in capo al ministero, dell’Organismo di controllo sui tempi di attesa delle cure. Un emendamento presentato ieri lascia i controlli in capo alle Regioni mentre il ministero potrà verificare, seppur con alcuni limiti, eventuali disfunzioni emergenti. La direzione quindi è quella di andare verso una sanità regionale, sempre più differenziata a seconda della ricchezza del territorio di appartenenza?
Il governo si sta rimangiando il provvedimento proposto perché le Regioni vogliono difendere con ferocia il privilegio di gestire la sanità, che è una leva di potere gigantesca. Ma questo è un male enorme nella gestione del nostro sistema sanitario perché vede le Regioni accentrare tutti i poteri, dal legislativo al controllo, creando una situazione senza alcuna dinamica esterna, in cui il controllore e il controllato coincidono. Andiamo verso una situazione sempre meno equa per il servizio sanitario, che si riflette sulle Regioni e sulle fasce di reddito. Credo che il disegno Schillaci sia assolutamente inefficace e avrà come unica conseguenza quella di spostare soldi ai privati in un paese che, secondo gli ultimi dati Ocse, è secondo solo agli Stati Uniti per il peso del privato sulla sanità.

Si augura che la proposta di legge possa essere presa in esame?
Assolutamente sì e nel caso fosse approvata, il cittadino avrebbe accesso immediato alle prestazioni in intramoenia a spese dell’azienda sanitaria e senza costi aggiuntivi, eliminando qualsiasi procedura burocratica. Allo stesso tempo, verrebbero segnalate tempestivamente agli organi amministrativi le situazioni anomale che richiedono un intervento per essere corrette.

Nel frattempo il decreto liste d’attesa presentato dal ministro Schillaci, composto da 7 articoli, ha ricevuto il via libera in Senato e approderà alla Camera il prossimo 23 luglio.