Divieto farsa sulla carne sintetica: il governo approva il disegno di legge

CARNE COLTIVATA

Passa il disegno di legge Lollobrigida-Schillaci che vorrebbe vietare in Italia la carne coltivata (per ora mai autorizzata dalla Ue) e vieta di utilizzare il termine carne per i prodotti a base vegetale (i Veg burger per intenderci). In piazza il presidente di Coldiretti Prandini aggredisce Della Vedova.

 

Passa il disegno di legge del governo cosiddetto carne coltivata. I nostri lettori oramai sanno che si tratta di un divieto a un prodotto che ancora non esiste in Europa, né è stato ancora autorizzato nel nostro continente ma che fa discutere. Da una parte chi vede questa tecnica come un modo per salvaguardare l’ambiente e tutelare il benessere animale, dall’altra chi, come il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida e la Coldiretti, la vedono come fumo negli occhi e hanno pensato di vietare in Italia non solo la produzione e la commercializzazione ma anche qualunque ricerca sulla carne coltivata. Quella che in Parlamento ancora oggi Lollobrigida ha definito carne sintetica, con un termine scorretto ma popolare.

A favore ha votato il governo, contro le opposizioni (il Partito democratico si è astenuto): con in totale 159 favorevoli.

Dentro il provvedimento, tra l’altro, compare anche il divieto di denominazione come carne di qualunque prodotto a base vegetale, tanto per capirci di prodotti come i Veg burger.

 

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Antiscientifico e reazionario

Particolarmente amaro e lucido il commento di Benedetto Della Vedova (+Europa) che ha definito la legge antiscientifica e si è meravigliato che in calce riporti anche la firma del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che pure dovrebbe rappresentare non solo la visione scientifica ma essere consapevole che questo tipo di procedure sono già in uso nella moderna medicina. Diretta l’accusa di Della Vedova: “Esportate cultura reazionaria in Europa. Non solo, l’Italia ha cervelli, talenti, ricerca scientifica che sta tarpando puntando sulla paura”.

Un’accusa che il ministro dell’Agricoltura non ha ascoltato visto che nel frattempo era fuori dall’aula, probabilmente nella piazza a prendere gli applausi da Coldiretti che presidiava il Parlamento.

Un atteggiamento decisamente opposto quello che la piazza ha riservato a Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova, quando si è visto apostrofare dal presidente di Coldiretti Prandini come “delinquente” tentando di aggredire il parlamentare di +Europa e provocando l’intervento della Polizia.

“Che il presidente della più grande associazione sindacale italiana degli agricoltori si senta legittimato ad aggredire un parlamentare della Repubblica per le parole che ha pronunciato a Montecitorio è di una gravità assoluta” ha dichiarato in Aula Della Vedova annunciando denuncia. E chiedendo a Lollobrigida che dopo quello che è successo di non partecipare alla manifestazione di Coldiretti per non avallare una violenza inaudita.

“Un provvedimento che invoca il principio di precauzione – ha commentato Tommaso Foti di Fratelli di Italia – dovrebbe essere salutato con entusiasmo”, dimenticando forse l’atteggiamento governativo quando si trattava di aprire ai nuovi Ogm.

 

Cherry picking di governo

Di Cherry picking e complottismo parla apertamente Eleonora Evi (Alleanza Verdi e sinistra) che ha smontato quelle che definisce le menzogne di Coldiretti riprese dal ministro. Una su tutte il pericolo di antibiotici nella carne coltivata quando invece il rischio antibiotici semmai viene dagli allevamenti intensivi che in Italia non mancano.

“L’ennesimo divieto, questa volta per un prodotto che non esiste, che è un inganno. Se la Ue dovesse considerare sicura la carne coltivata, nessuna legge italiana fermerà alle frontiere il prodotto, semplicemente quella che arriverà sui banchi sarà un prodotto esclusivamente straniero. Le uniche a rimetterci saranno le imprese italiane, escluse, alla faccia della difesa del made in Italy”. Anche sul divieto di chiamare carne i prodotti vegetali la Evi ironizza: “Era così urgente impedire ai burger vegetali di chiamarsi tali?”.

Cronache a parte, facciamo un salto indietro necessario per capire davvero di cosa stiamo parlando. E lo facciamo ricorrendo a quanto spiegava lo scorso aprile il rimpianto professor Alberto Ritieni dalle nostre pagine.

Carne sintetica? Ma mi faccia il piacere…

In prima battuta, oggi si parla di carne “sintetica”, un termine del tutto opposto al concetto di “naturale”, assimilandola di conseguenza a un prodotto da laboratorio quindi, molto lontano dalla carne così come la intendiamo.

Purtroppo, un termine errato, che non corrisponde alla realtà, crea più problemi di quanto si pensi. Il processo di produzione in realtà è un classico processo di fermentazione dove a partire da cellule staminali muscolari di pollo o di suino messe in un bioreattore e alimentate con i classici nutrienti (proteine, lipidi, vitamine etc.), si ottengono quantità di cellule muscolari ad libitum. In due mesi si raggiungono anche 50.000 tonnellate di prodotto, considerando che un suino da carne può pesare anche 150 kg, dalla coltivazione della carne si ottiene carne pari a circa 300.000 suini al netto di scarti e parti non edibili.

La fermentazione è nota fin dal tempo degli Egizi per produrre vino, birra, prodotti lievitati, sfruttando l’abilità biochimica dei lieviti di creare dei prodotti ottimi per le nostre tavole.

La carne coltivata non usa processi di sintesi né tantomeno alambicchi, provette o paioli fumanti stile la Strega Amelia di Disney. Non c’è nessuna manipolazione del Dna, o uso di tecniche misteriose, semplicemente permettiamo a cellule totipotenti come lo sono le staminali di diventare cellule muscolari del tutto identiche tra loro.

Aggiungiamo che utilizzando per la loro crescita dei nutrienti, ad esempio, ricavati dai sottoprodotti delle altre filiere ci sarebbe un basso costo e un’ulteriore riduzione dell’impatto ambientale.

 

L’uovo e la gallina

Una seconda obiezione consiste nel non accettare di mettere in tavola qualcosa che deriva da una cellula isolata che si riproduca a nostro piacimento.

Un esempio che potrebbe aiutarci a comprendere meglio chiama in causa la cellula animale più grande, più comune e per giunta visibile ad occhio nudo che è l’uovo.

L’uovo è una singola cellula che in circa 21 gg si sviluppa fino ad avere un pulcino completo e il guscio è il naturale incubatore. Occorrono poi altri 35-40 gg per arrivare ad un peso di circa 1,5 Kg per un pollo da carne. Nel caso della carne “coltivata” si parte ancora da una singola cellula e, non producendo scarti, ossa, tendini, interiora etc., in circa 40 gg darebbe l’equivalente di 30 milioni di polli da inserire nella filiera alimentare e non un singolo pulcino.

 

Il rischio antibiotici

Una ulteriore obiezione che viene sollevata è l’utilizzo di antibiotici per la produzione di carne “coltivata”.

Una lista di antibiotici è già autorizzata e regolata dalla attuale legislazione perché gli animali siano protetti da infezioni batteriche che potrebbero far diventare i loro derivati una fonte di pericolo per la salute pubblica per le infezioni da vari patogeni batterici.

L’eccesso di antibiotici nella zootecnia conduce alla antibiotico-resistenza che sarà la concausa di future pandemie batteriche forse più pericolose per l’uomo di quelle virali. Nella carne “coltivata” gli antibiotici sono utilizzati nella fase di trasporto, stoccaggio e di avvio del fermentatore per proteggere le staminali da batteri che si svilupperebbero insieme alla stessa carne. Una volta che la fermentazione è avanzata il loro uso tende a ridursi, le fibre muscolari ottenute sono dilavate e il rischio legato agli antibiotici sarà inferiore a quanto si dica.

Lontani da una bistecca

Una paura che rende complesso accettare la carne “coltivata” sulla tavola è quella di non volere nel piatto cosce, petti, bistecche prodotte in questo modo. Al momento, le conoscenze portano ad avere più che altro della carne simile al classico “macinato” da cui ricavare polpette, hamburger, nuggets o derivati simili.

Per avere qualcosa di consistenza diversa occorre avere molta pazienza perché la ricerca possa fare altri passi avanti, altrimenti “pioveranno solo polpette”. Questo al momento ci rende tranquilli che avere nel piatto una tagliata, una fiorentina, una costata etc. sia sinonimo di avere solo carni tradizionali e dunque, nessun pericolo per le filiere tradizionali e la nostra eccellente tradizione legate alle carni.

Il gene p53

Altri paventano il rischio che mangiando carne coltivata si abbiano delle interferenze sul funzionamento del gene p53, una delle migliori sentinelle che ci difende da tumori e da altre patologie.

La cottura, a cui segue la digestione nello stomaco, nell’intestino, i vari passaggi tra tubo digerente, fegato e cellule ci difendono da questo rischio. Del resto, mangiando carne tradizionale introduciamo questi “interferenti” perché le cellule staminali sono presenti normalmente nelle carni degli animali adulti anche se in quantità molto più basse.

Dal punto di vista della sicurezza alimentare, la carne “coltivata” offre la possibilità di gestire meglio il prodotto finale avendo il processo sotto controllo. Questo si traduce in avere meno foraggi o insilati contaminati, un minore uso di pesticidi e di farmaci veterinari, un minore rischio di zoonosi che potrebbero colpire l’uomo come nel caso dell’influenza aviaria o della peste suina.

Ma a cosa serve?

Altri si chiedono a cosa può servire sviluppare della carne “coltivata” quando ci sono tanti allevamenti e la carne abbonda sulle nostre tavole.

Un uso planetario della carne coltivata ridurrebbe fino al 92% le emissioni di gas serra, risparmieremmo il 78% di acqua e il 95% del suolo. In maniera miope, se ci limitiamo al nostro paese, il problema è relativo, ma se paesi in via di sviluppo del continente Asia o Africa decidessero di assumere proteine in maniera più massiccia usando allevamenti tradizionali, la crisi ambientale assumere un peso molto più rilevante.

Una polpetta per ricchi

Infine, il problema costi. La carne coltivata è per ricchi, al momento una polpetta costerebbe così tanto da non essere alla portata di tutti. Nel passato con i frutti esotici, il caffè e carni particolari si osservava lo stesso andamento. Il prezzo era molto elevato, poi tutto è cambiato: oggi l’Italia produce più kiwi dell’Australia, i costi di trasporto e le tempistiche sono migliorate ed è possibile avere l’esotico a basso costo. Nella carne coltivata si raggiungerà l’equilibrio di mercato libero, come sempre quando si incontreranno domanda e offerta, e il prezzo sarà tale da permetterne la sua diffusione anche in contesti socio-economici non forti.

La scelta di puntare su farine di insetti o su carni “coltivate” è sinergica a offrire più proteine e a costi inferiori alle popolazioni che ne hanno sempre più necessità. Per i paesi occidentali o industrializzati queste sembrano scelte inadeguate e non motivate, ma chi possiede le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche, deve assumersi il carico e le responsabilità anche per chi è stato spinto in coda alla fila.

Un mercato in mano a big industry

Le criticità collegate a chi sviluppa e poi produrrà la carne coltivata sono tante e per molti c’è paura di un “mainstream” nelle mani delle “big industry” che vedrebbero solo nuove fonti di guadagno dal coltivare la carne.
La ricerca e “libertà” sono un assioma e il ricercatore per natura è curioso e per fortuna talvolta anche visionario.
I costi reali della ricerca da tempo sono diventati esorbitanti per cui le attrezzature avanzate sono sempre più costose, i materiali idem e la competizione feroce come mai prima. I ricercatori sono eccellenti nel “fundraising” ovvero nel cercare sostegno economico alla loro ricerca, ma i fondi pubblici oramai sono in grave secca. Se governi, agenzie internazionali, fonti pubblici di finanziamento della ricerca non sono sufficienti o addirittura sono assenti, è più che naturale che intervengano i privati a surrogarli.
Le industrie hanno spesso, “costi quello che costi”, il profitto come obiettivo finale. Lo sviluppo di prodotti di frontiera come insetti, carne coltivata, alimenti innovativi etc. hanno però costi oramai equiparabili a quelli di un farmaco.
Viene tollerato da molti che il coinvolgimento diretto del pubblico nello sviluppo di nuove medicine sia molto limitato per cui non è scandaloso che avvenga lo stesso per farine di insetti o prodotti carnei allevati.

Per concludere, l’eliocentrismo proposto da Galileo nel 1600 lo costrinse a fare abiura in nome del geocentrismo, ma non per questo Sole e Terra si scambiarono di posto nell’Universo.