Dopo la riduzione di pesticidi e fertilizzanti, l’aumento della biodiversità a finire nel cassetto dei sogni mai realizzati è probabilmente l’abolizione degli allevamenti in gabbia. Per questo nella giornata mondiale World cage Free monta la protesta a Bruxelles. Ma dove finiscono le uova delle galline allevate in questo modo?
Un altro pezzo del Green Deal destinato, con ogni probabilità, a finire nel cassetto dei sogni mai realizzati. E un’altra vittoria della lobby degli allevamenti e di quella alimentare, per quanto non rivendicata per ovvie ragioni di consenso.
È l’impegno della Commissione europea di presentare una proposta di revisione legislativa chevietasse l’allevamento in gabbia di 300 milioni di animali che per quanto graduale divenisse totale entro il 2027.
La protesta e le tattiche di Von der Leyen
Proprio oggi, nella giornata mondiale contro l’allevamento in gabbia (il World Cage Free Day) davanti alla sede della Commissione europea si raccoglierà la protesta di molte associazioni animaliste che lamentano il più che probabile slittamento alla prossima legislatura di questa legge. Da una parte, come nel caso della riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti e la conservazione della biodiversità, c’è la pressione delle lobby di chimica, agricoltura convenzionale e allevamento intensivo, dall’altra la sensazione che Ursula Von der Leyen si stia preparando a una nuova edizione dell’accordo con i popolari (le destre) europee più spostato sugli interessi che rappresentano.
Fatto sta che a oggi di quella legge che doveva portare fuori dalle gabbie milioni di galline ma anche garantire lo stordimento dei pesci pescati e il divieto dell’eliminazione dei pulcini vivi non c’è traccia.
Parlamento ed europei dicono no alle gabbie
E questo nonostante l’iniziativa dei cittadini europei End the Cage Age, lanciata da Compassion in World Farming con una campagna che ha coinvolto 170 associazioni che ha portato sui tavoli di Bruxelles le firme di 1,4 milioni di persone, e il voto positivo del Parlamento europeo.
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Anche l’autorità per la sicurezza alimentare europea (Efsa) aveva espresso un parere netto a favore di un’evoluzione per gli allevamenti avicoli che lasci alle spalle gabbie, spazi angusti e mutilazioni. “I nostri esperti hanno valutato i sistemi di allevamento utilizzati nell’Unione europea per i polli da carne e le galline ovaiole e hanno individuato i pericoli a cui sono esposti i volatili e le relative conseguenze per il loro benessere” scrive Efsa in una nota, “Hanno descritto le varie modalità di valutare il benessere dei volatili in base alle risposte degli animali e hanno proposto modi per prevenire o attenuare le conseguenze nocive al benessere che hanno individuato”. Le due valutazioni riguardano l’intero ciclo produttivo, dall’allevamento e dalla crescita dei giovani volatili all’allevamento di polli da carne e galline ovaiole.
“In questa giornata di mobilitazione contro l’uso delle gabbie abbiamo bisogno che tutte le persone che ci sostengono mandino un messaggio forte e chiaro alla Commissione europea: non ci arrenderemo finché ogni gabbia non sarà vuota. Non possiamo permettere che favoriscano la grande industria invece che il benessere degli animali e la volontà di cittadine e cittadini europei, il 94% dei quali pensa che il benessere animale sia importante”, spiega Elena Artico, responsabile globale delle campagne di Ciwf.
L’ultimo appello
In realtà l’ultima speranza perché quel pacchetto sul benessere animale promesso nel 2021 dalla Commissione europea vada miracolosamente in porto ci sarebbe, Ma la cartina tornasole, come ci spiega Lorenza Bianchi, responsabile area di transizione alimentare della Lav, sarà il discorso della Von der Layer del prossimo 17 ottobre. “Lì verrà presentato il programma di fine mandato e sarà chiaro che fine farà il pacchetto sul benessere animale”, spiega Lorenza Bianchi. “I segnali però non sono positivi, almeno a leggere l’intervento del 3 ottobre scorso del vicepresidente esecutivo della Commissione europea Maroš Šefčovič, nominato per supervisionare il Green Deal: non c’era neppure un passaggio sulla tutela degli animali in macellazione e sulle gabbie, ma solo un riferimentoalle modifiche delle regole sui trasporti”.
Dove finiscono le uova “da gabbia”
Le uova di galline allevate nelle crudeli gabbie che stipano gli animali in uno spazio a disposizione paragonabile ad un foglio A4, sono quasi sparite dal mercato. Difficile trovare un’indicazione del genere sulle confezioni, se non altro perché i consumatori hanno imparato a non acquistare quelle ottenute da allevamenti tanto disumani.
Il punto, però, è che anche se non si vedono, queste uova continuano a finire nelle nostre tavole, attraverso prodotti come maionese, torte e simili secondo un’inchiesta realizzata lo scorso agosto dal Centro consumatori tedesco della Renania Settentrionale-Vestfalia.
All’interno dell’UE è obbligatorio indicare l’origine e il tipo di allevamento delle uova fresche crude e questo ha portato rapidamente le uova da animali in gabbia a sparire dagli scaffali. E a finire trasformate in prodotti contenenti uova.
Se le uova vengono utilizzate in prodotti come la pasta, nelle insalate russe pronte, nelle torte e nelle maionesi, tanto per fare qualche esempio, i produttori possono fornire volontariamente informazioni sul modo in cui vengono allevati gli animali. Ma non sono obbligati a farlo e dunque i consumatori non hanno modo di distinguere.