Pfas, Medici, ricercatori e Mamme no Pfas: “Difficile bonificare, meglio non usarli”

pfas inquinamento

“Non esiste un sistema economico per ridurre la contaminazione dai Pfas, l’unico modo per toglierli dall’ambiente è non usarli”. A dirlo è Sara Valsecchi, ricercatrice dell’Irsa che insieme agli esperti di Iss, Isde e Università di Padova, hanno fatto il punto, tra Veneto e Piemonte degli inquinanti per sempre al convegno organizzato a Roma dalle Mamme No Pfas

 

“Non esiste un sistema economico per ridurre la contaminazione dai Pfas, l’unico modo per toglierli dall’ambiente è non usarli”. A dirlo è Sara Valsecchi, ricercatrice dell’Irsa che insieme agli esperti di Iss, Isde e Università di Padova, hanno fatto il punto, tra Veneto e Piemonte degli inquinanti per sempre al convegno “Pfas: analisi retrospettiva e prospettive future” organizzato presso l’Università Pontificia di Roma dalle Mamme No Pfas, dall’Università di Padova e dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei.

L’inquinamento del polo industriale di Spinetta Marengo e in Veneto

Valsecchi mostra come durante lo studio del 2013 realizzato da Irsa e Cnr sulla presenza di Pfas nei corsi dei principali fiumi italiani, risultasse evidente come “Il Po, a monte ne recasse poche tracce, mentre a partire dalla congiunzione con l’affluente Tanaro, i livelli si alzassero e rimanessero più o meno stabili fino alla foce del fiume”. Al Tanaro porta le acque, a sua volta il Bormida, che lambisce il polo industriale di Spinetta Marengo, dove Solvey a tutto oggi produce il Cc604, uno Pfas sostituto dei vecchi analoghi vietati perché dannosi per la salute, e sui cui effetti ci sono grossi interrogativi. Come hanno ricordato Claudio Lombardi e Mirella Benazzo, entrambi attivi nella lotta degli abitanti di Spinetta Marengo contro la contaminazione e la produzione di Pfas nell’alessandrino, la richiesta di un biomonitoraggio sulla presenza di Pfas nel sangue dei residenti è stata fino a ora lasciata cadere dalle autorità locali, mentre la parte finale delle indagini epidemologiche dell’Arpa, che riguarderebbe la relazione causa-effetto, non è mai partita.

E sono proprio i risultati delle analisi del sangue della popolazione della zona rossa tra Padova, Vicenza e Verona che hanno fatto esplodere la protesta e la rabbia organizzata delle Mamme No Pfas, nei confronti dell’Ex Miteni, la fabbrica che ha sversato per anni inquinanti in un canale da Trissino ha contaminato una falda acquifera che interessa una zona abitata da oltre 350mila persone.

La mamma no Pfas: La rabbia di fronte al tradimento delle istituzioni

Francesca, mamma di quattro figli, esprime la rabbia quando dagli alti livelli di Pfas trovati nel sangue della figlia, scoprì di sentirsi “tradita da quello in cui avevo sempre creduto: le istituzioni, la scienza, il progresso. E così, – continua – ho provato lo sconforto davanti l’indifferenza di chi avrebbe potuto evitare la contaminazione e non l’ha fatto e di chi ancora potrebbe e non fa”.

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I limiti della ricerca scientifica

Stefano Polesello, anche lui ricercatore dell’Irsa, ricorda lo stupore provato quando nel 2019 nelle falde acquifere sono state trovate tracce rilevanti di due sostituti del Pfoa per il Teflon, il GenX e il cC604. Il problema è che spesso, come spiega bene Sara Bogialli, professoressa di Chimica analitica all’Università di Padova, “non sempre le azioni e gli interessi della ricerca scientifica, delle istituzioni e della popolazione”, e questo perché spesso è la stessa scienza ad avere dei limiti: basti pensare che ad oggi su oltre 4mila sostanze perfluoroalchiliche esistenti, nei migliori laboratori si arriva ad analizzarne la presenza di sole 23. Per la stragrande maggioranza di Pfas non esistono ancora metodologie e strumenti di rilevazione adatti. “Per svilupparli i tempi sono medio-lunghi”, Spiega Bogialli facendo riferimento ai limiti anche economici di sviluppo in tal senso. E forse proprio per questo, il principio di precauzione dovrebbe essere il faro rispetto ai Pfas su cui ancora si sa troppo poco.

L’Ue si muove ma tra Efsa e Reach manca ancora qualcosa

Negli ultimi anni, l’Unione europea ha iniziando a occuparsi finalmente di Pfas, ma la pesante contaminazione ambientale ci dice che ancora tanto va fatto. “Il Reach (Regolamento dell’Unione europea, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, ndr) probabilmente non si è rivelato del tutto efficace – spiega Valentina Fuscoletti, ricercatrice dell’Istituto superiore di sanità, “Ci sono dei gap che si sta cercando di sanare”. Le fa eco Alberto Mantovani, Direttore scientifico dell’Osservatore Pfas nel Fosan, ente di ricerca no profit per lo studio degli alimenti e della nutrizione: “Lo dico io che ci ho pure lavorato, ma è un problema il fatto che l’Efsa non abbia ancora prodotto una valutazione sugli effetti dei Pfas nei materiali a contatto con gli alimenti”.