Pfas in Veneto. Dopo 4 anni, scendono del 62% nel sangue di abitanti della zona rossa. Isde: “Ma il problema non è risolto”

PFAS ACQUA

La Regione Veneto pubblica il Rapporto n.17 relativo al Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta a sostanze perfluoroalchiliche (Pfas). I dati confermano l’efficacia dei filtri sull’acqua potabile, ma le acque di pozzo sono ancora inquinante. Intanto a Roma le associazioni presentano il manifesto per vietare i Pfas.

La Regione Veneto pubblica il Rapporto n.17 relativo al Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta a sostanze perfluoroalchiliche (Pfas). I dati confermano l’efficacia dei filtri sull’acqua potabile, ma le acque di pozzo sono ancora inquinante. Intanto a Roma le associazioni presentano il manifesto per vietare i Pfas.

Delle 106 mila persone che ne avevano diritto, quasi 64 mila hanno deciso di partecipare al programma di sorveglianza, e di queste 22mila, sono state invitate ad una seconda chiamata, per verificare il calo delle concentrazioni di Pfas nel siero e di queste più di 13 mila hanno aderito per un controllo in media a 4 anni di distanza dal primo.

Dalle analisi risulta che il Pfoa, il principale contaminante presente nell’acqua potabile (tossico e ormai vietato) sarebbero calatp in media del 62% nel sangue degli analizzati. Per la regione questa è una “riprova dell’efficacia delle misure messe in atto per interrompere l’esposizione idro-potabile (installazione di filtri a carboni attivi negli impianti di potabilizzazione degli acquedotti)”. Secondo il rapporto anche tra gli ex-lavoratori della Rimar-Miteni di Trissino, da cui è partita la contaminazione, e tra gli abitanti dello stesso comune, si osserva un progressivo calo della concentrazione di Pfas nel sangue.

Francesco Bertola, medico di Isde-Medici per l’ambiente, “I dati dimostrano che i filtri funzionano, ma non che il problema sia finito”. E per spiegare meglio le sue parole, Bertola entra nel dettaglio. “Anche i nostri dati ci dicono di una riduzione del 50% circa, ma intanto va chiarito che c’è una diversa velocità di smaltimento tra uomini e donne. Quest’ultime eliminano più in fretta i Pfas perché li passano ai figli con l’allattamento e perché li perdono con le mestruazioni. Al di là poi di questa differenza, non basta parlare solo di percentuale di diminuzione. Dipende anche da che livello si parte. Nel caso della zona rossa parliamo di una concentrazione pari a 40-45 ng/l. Dunque, dopo 4 anni si è scesi a circa 20. Per arrivare non dico a un livello esente da pericolo, che sarebbe zero, ma almeno in media con la popolazione generale del resto d’Italia, cioè 5 ng/l, servirebbero altri 8 anni, a questo ritmo”. 

E non solo, “I filtri sono stati messi sull’acqua potabile, ma non sappiamo quanto nella diminuzione di Pfas nel sangue abbia possibilmente influito il fatto che una parte di popolazione abbia spesso di bere dal rubinetto e comprare verdure locali. E soprattutto, non ci sono stime ufficiali su quanti abitanti in Veneto abbiano continuato ad usare acqua di pozzo, dunque proveniente direttamente dalla falda inquinata, per scopi alimentari o per irrigare i campi. Dunque, i filtri non bastano per dire che la questione è risolta”, conclude Bertola.

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Il Ban manifesto

E per questo Greenpeace , mamme no Pfas, Isde,Pfas Land, CiLLSA, Medicina democratica, hanno presentato alla Camera dei deputati il Ban manifesto per la messa al bando delle molecole Pfas. Un manifesto e un appello che viene presentato in vari paesi europei.

“Esistono prove chiare e inequivocabili – spiega il manifesto – che dimostrano la contaminazione globale dell’ambiente, della fauna selvatica e delle popolazioni umane da parte dei Pfas, le sostanze chimiche di origine umana più persistenti finora conosciute. I Pfas rappresentano un rischio inaccettabile per le generazioni attuali e future a causa della loro estrema persistenza e delle prove scientifiche che collegano l’esposizione a impatti dannosi sulla fauna selvatica e sulla salute umana. Esistono migliaia di Pfas diversi. Tuttavia, è molto preoccupante che solo una manciata di essi sia attualmente controllata da normative a livello globale, nonostante siano prontamente disponibili molte alternative più sicure”.

L’appello all’Ue

Per questo, spiegano i promotori: “Noi, organizzazioni della società civile europea, esortiamo gli Stati membri dell’Ue e la Commissione a vietare tutti i Pfas in tutti i prodotti di consumo entro il 2025 e a vietarli completamente entro il 2030”. Come ricorda Giuseppe Ungherese di Greenpeace, “C’è un iter avviato in Ue, ma ciò non vieta che i singoli stati possano legiferare sul proprio territorio. La Danimarca, per esempio, ha fatto una legge molto avanzata. Gli Stati Uniti hanno inserito un limite per l’acqua potabile. In Italia non vediamo nulla di tutto ciò”.