Il bike sharing – bici condivisa – ha costi diversi a seconda della città: un abbonamento annuale varia da poche decine di euro a oltre 300 euro. E in media per 20 minuti di utlizzo si spendono 1,20 euro
Negli ultimi anni la sensibilità nei confronti della mobilità sostenibile è fortemente aumentata e sempre più sono i cittadini che prediligono mezzi di trasporto green che guardano alla salvaguardia dell’ambiente. Tra questi rientra sicuramente la bicicletta, motivo per cui, specie nelle grandi città, sono molte le società che hanno messo a disposizione degli abbonati al servizio delle biciclette da poter utilizzare in condivisione. È il cosiddetto bike sharing, letteralmente bicicletta in condivisione, che incentiva ed alimenta la mobilità sostenibile nelle città. La spinta in tal senso arriva sia dalle compagnie private che decidono di investire in questo settore, che dalle amministrazioni comunali che, sempre più, promuovono presso i loro cittadini questo tipo di servizio. Malgrado la diffusione dei mezzi di trasporto sostenibile sia in forte crescita, sono ancora molte le lacune su di esse da parte della popolazione, specie in relazione al loro funzionamento.
Cos’è il bike sharing
Il bike sharing si sostanzia nel fatto che un soggetto, sia questo un’azienda, un privato o un’amministrazione comunale, mette a disposizione della cliente uno o più mezzi da poter utilizzare in condivisione dietro il pagamento di una tariffa. Quest’ultima, riferendosi al libero mercato, viene scelto da chi mette in condivisione le biciclette e può essere legato tanto al tempo di utilizzo del mezzo, quanto alla distanza che viene percorsa dall’utente che, a sua volta, per poter usufruire del servizio dovrà iscriversi e fornire i propri dati personali e per il pagamento. Anche l’iscrizione prevede dei costi (che solo in alcuni casi posso essere utilizzati come credito per l’utilizzo successivo dei mezzi). Lo scopo del bike sharing, come evidente, è quello di incentivare la mobilità sostenibile, cercando di avere sempre meno auto e macchine in strada a favore di biciclette, monopattini e mezzi di trasporto a basso impatto ambientale. Appare tuttavia fondamentale che per permettere tale transizione sia necessario che, oltre ai servizi di bike sharing, vengano creati dei contesti sicuri all’interno dei quali far circolare le biciclette. Entrano in tale scenario lo sviluppo delle piste ciclabili e di aree pedonali all’interno delle quali è consentito anche l’accesso ai mezzi sostenibili. Un lavoro congiunto, dunque, che non pochi problemi crea all’interno delle città, dove molto spesso macchine, mezzi pensanti, moto e biciclette fanno fatica a convivere.
Come funziona il bike sharing
Appreso cosa sia il bike sharing, proviamo ora a comprenderne meglio il funzionamento. Iniziamo col dire che le biciclette messe a disposizione della comunità vengono solitamente ubicate in delle aree di sosta collocate nelle zone di maggiore interesse per il tipo di servizio offerto (servizio station-based). Non mancato, tuttavia, i casi di realtà economiche attive nel settore dello sharing che consentono ai clienti di lasciare e trovare i propri mezzi a noleggio in tutti i punti della città coperti dal servizio (free-floating). Andranno in quest’ultimo caso evitate le aree rosse, ovvero quelle all’interno delle quali – per volere dell’amministrazione comunale – non è possibile parcheggiare, e a volte anche circolare, le biciclette in sharing. Molte aziende del bike sharing, inoltre, offrono degli sconti ai propri cliente che, dopo averle utilizzate, lasciano ile biciclette in un punto di parcheggio indicato. Tale modalità mista si è di recente fortemente diffusa anche in Italia. Per gestire i propri viaggi e noleggi, solitamente, le aziende sviluppano un’app dedicata che consente sia di individuare le aree di sosta che dove si trovano i singoli mezzi sparsi nella città. Una volta raggiunta la bicicletta in condivisione sarà necessario attivare la corsa, con le modalità di partenza che variano a seconda dell’azienda di sharing cui ci si rivolge. C’è chi, ad esempio, richiede la scansione tramite app di un qr code presente sul mezzo che si intende utilizzare e chi, invece, utilizza una chiave con tecnologia Rfid che sfrutta le radiofrequenze oppure delle tessere.
Il costo del bike sharing in Italia
Come si diceva in apertura, il servizio di bike sharing ha dei costi collegabili all’utilizzo che si fa del mezzo in condivisione e all’iscrizione al servizio scelto. Ogni fornitore, da par sua, sceglie come meglio crede le tariffe da offrire ai propri clienti e, stando a quanto riportato a settembre 2020 dall’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility in Italia promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile con il ministero dell’Ambiente e il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, i prezzi tendono a mutare in Italia anche in base alla città. Un abbonamento annuale, ad esempio, può costare un minimo da un minimo di 15 euro, a Siena, fino ad un massimo di 300 euro per il free-floating a Parma. E ancora, in relazione al costo medio registrato dall’Osservatorio nazionale, questo per un viaggio di 20 minuti su una bicicletta in bike sharing in modalità free-floating è di circa 1,20 euro. Si scende invece a 50 centesimi per lo stesso tempo di viaggio nel caso in cui, però, si utilizzi una bici in condivisione in modalità station-based.
Il bike sharing in Italia
Come si diceva in apertura, il bike sharing, così come tutti i tipi di servizi come questo, ha avuto una crescita esponenziale in Italia nel corso degli ultimi anni. Sempre dall’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility si apprende che, a settembre 2020, il bike sharing era il servizio di mobilità condivisa più diffuso in Italia. Il campione in analisi era rappresentato da ben 31 città italiane capoluogo di provincia, ovvero Bergamo, Bologna, Bolzano, Brescia, Como, Ferrara, Firenze, Forlì, Genova, La Spezia, Livorno, Mantova, Modena, Milano, Padova, Palermo, Parma, Pesaro, Pisa, Ravenna, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma, Siena, Terni, Torino, Trento, Treviso, Udine, Venezia e Verona. Inoltre, così come è avvenuto anche con lo sharing dei monopattini, i servizi di biciclette in condivisione sono tra quelli che maggiormente sono stati scelti dai cittadini italiani nell’immediato post lockdown per la pandemia da covid-19. La crescita costante e continua si evince anche nel numero di servizi presenti nei singoli territori. Rispetto al 2018, ad esempio, nelle città campione dell’Osservatorio nazionale sono attivi più servizi di bike sharing, passati da 33 a 39, e in 7 di queste città, ovvero Bergamo, Mantova, Milano, Padova, Parma, Reggio Emilia e Torino, operano contemporaneamente sia servizi di station-based che di free-floating. La maggiore offerta, così come avviene in qualsiasi altro settore economico, è data da una domanda crescente. Le iscrizione ai servizi di bike sharing sono aumentate nell’immediato post lockdown del 60% e, così, è stata anche triplicata la flotta dei mezzi messi a disposizione dei cittadini rispetto al 2015. Nel 2020 le biciclette in condivisione in Italia risultavano essere circa 35mila, di cui 5.413 elettriche e per il 70% utilizzate in modalità free-floating. L’utilizzo maggiore di ogni bicicletta nell’arco delle 24 ore è stato registrato a Brescia, seguita da Pisa e Torino. Sotto la Mole Antonelliana, inoltre, si registra il più alto numero di biciclette condivise in modalità free-floating.
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Gli interventi governativi e gli incentivi alla mobilità sostenibile
Come si diceva in apertura, il passaggio dagli attuali mezzi di trasporto a quelli rientranti nella categoria dei sostenibili richiede una maggiore attenzione sia da parte dei cittadini, che scelgono di muoversi rinunciando a macchine e moto, sia da parte delle istituzioni, che devono predisporre un quadro normativo tale da incentivare la transizione. Questa passa sia attraverso scelte nazionali adottate dal governo, ma anche per quelle delle singole amministrazioni comunali (che possono ad esempio realizzare nuove piste ciclabili e agevolare i viaggi in bicicletta dei cittadini). Negli ultimi anni, in tal senso, qualcosa è stato fatto e gli esempi da citare sono molti. Partiamo menzionando il decreto Rilancio del maggio 2020, all’interno del quale erano previste delle misure specifiche per la mobilità sostenibile. Tra queste spiccava sicuramente il bonus mobilità che concedeva degli sconti ai cittadini per gli abbonamenti ai servizi di mobilità condivisa a uso individuale. E ancora, ad ottobre 2020, il ministero dei Trasporti ha assegnato 137,2 milioni di euro agli enti locali per la progettazione e la realizzazione di ciclovie urbane, ciclostazioni e ad altri interventi per la sicurezza della circolazione ciclistica cittadina. Anche nel Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza sono stati previsti degli interventi per la mobilità sostenibile. Entrando più nello specifico, il Recovery plan firmato dal governo Draghi ha previsto 8,58 miliardi di euro per lo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile e altri 600 milioni di euro per il rafforzamento della mobilità ciclistica. Si tratta, più nello specifico, di 570 chilometri di piste ciclabili urbane e metropolitane e di 1.250 chilometri di piste ciclabili turistiche da costruire.