Chi è il responsabile e a chi chiedere il risarcimento nel caso un cane randagio morda quacluno: cosa prevede la normativa italiana
Siamo abituati a pensare ai nostri amici a quattro zampe come ad animali di compagnia dei quali ci fidiamo sempre ciecamente e che non potrebbero mai farci del male. Eppure non è poi così raro imbatterci in animali senza padrone che girano senza meta per le strade e i parchi delle nostre città e che, alla luce delle difficili condizioni in cui vivono, potrebbero trasformarsi in un serio pericolo per tutti noi. Che cosa accade, dunque, quando veniamo morsi da un cane randagio? Chi si occupa del risarcimento danni e qual è il quadro normativo vigente?
La risposta a queste domande non è esattamente semplice, nonostante ci siano state negli ultimi anni alcune sentenze delle autorità competenti che hanno chiarito la questione. Cerchiamo quindi di fare chiarezza, analizzando la questione da diversi punti di vista e sintetizzando quella che è ad oggi la situazione da un punto di vista legislativo.
Chi è responsabile del randagismo e quale ente pubblico se ne occupa
Quando si parla del fenomeno del randagismo si fa riferimento all’abbandono incontrollato di animali senza padrone, liberi di vagare per le strade delle nostre città senza che nessuno se ne prenda cura. Trattandosi di animali che spesso vivono in condizioni precarie è molto facile che siano spaventati a tal punto da diventare aggressivi e del tutto imprevedibili; di norma in loro prevale l’istinto di sopravvivenza, che li spinge a cercare del cibo anche in situazioni molto rischiose. In un contesto simile, è molto facile che scelgano di attaccare gli esseri umani, come ultima ratio.
Ad oggi in Italia esiste una legge quadro, la numero 281 del 14 agosto 1991, che si limita soltanto a delegare ad ogni singola Regione la regolamentazione della materia, senza tuttavia individuare in modo preciso i soggetti competenti nel merito della questione. Sono per l’appunto proprio le Regioni a dover indicare i soggetti responsabili in materia di randagismo e a mettere in atto tutte le politiche possibili affinché il fenomeno non costituisca un reale pericolo per l’incolumità pubblica.
C’è in particolare l’articolo 3 della suddetta legge quadro che stabilisce che le Regioni si devono occupare del risanamento dei canili comunali e la costruzione di specifici rifugi per cani randagi che possano contribuire a limitare un fenomeno altrimenti fuori controllo. Tali strutture dovranno ovviamente garantire ottime condizioni igienico-sanitarie per i cani che verranno ospitati e dovranno essere periodicamente tenute sotto controllo dagli operatori veterinari delle unità sanitarie locali.
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Alla luce di quanto detto finora risulta quindi evidente che le Regioni non sono (in linea generale) direttamente responsabili di un’aggressione di un cane randagio, ma sono soltanto l’organo preposto a prevenire il problema. Per capire chi è realmente il responsabile sarà quindi necessario analizzare il singolo evento, caso per caso.
I soggetti competenti
Come già anticipato, non è semplice individuare con precisione a chi fare richiesta di risarcimento per il morso di un cane randagio. Va comunque specificato che i pedoni, i ciclisti e i motociclisti vittime di un’aggressione non sono per fortuna del tutto privi di tutele.
In linea generale, la Regione sarà il soggetto responsabile a cui richiedere il risarcimento nel caso in cui non avesse implementato le misure di prevenzione di cui sopra. Nel caso in cui tali iniziative regionali fossero effettivamente state intraprese, secondo la Cassazione, tutto si gioca sulla divisione dei compiti assegnati dalle Regioni stesse a Comuni e Asl locali. Ad ogni modo, la responsabilità di uno non esclude in toto quella dell’altro soggetto: va detto, comunque sia, che ad oggi sono stati numerosi i casi in cui anche le stesse Regioni sono state chiamate in causa per rispondere dei danni.
I Comuni dovranno quindi occuparsi del controllo diretto dei cani randagi, affinché non rischino di provocare danni alla popolazione: spetterà di conseguenza a loro la responsabilità della costruzione dei canili.
Le Asl, in parallelo, dovranno farsi carico del servizio di accalappiamento di cani randagi e del loro trasferimento presso i canili pubblici, oltre alla gestione delle segnalazioni da parte dei cittadini riguardo a situazioni potenzialmente a rischio.
Quando è possibile chiedere un risarcimento e a chi?
Si potrebbe pensare che il risarcimento vada chiesto solo nel caso in cui ci siano stati una vera e propria aggressione o un morso, ma in realtà la situazione è leggermente più complessa. La Cassazione ha infatti precisato che il cittadino dovrà anche dimostrare che la pubblica amministrazione non ha rispettato il programma di prevenzione del randagismo sviluppato dalla Regione, venendo meno agli obblighi necessari per evitare il dilagare dei cani randagi nella zona.
Chi paga, quindi? Come anticipato, il danneggiato potrà chiamare in causa la Asl, il Comune o anche entrambi, per ottenere il proprio risarcimento. Tutto dipenderà dalle disposizioni regionali in materia di responsabilità.
Prendiamo ad esempio una recente sentenza della corte di Cassazione che ha assegnato solo all’Azienda sanitaria locale la responsabilità di un’aggressione di cane randagio poiché “in tema di danni causati da cani randagi, la responsabilità civile grava esclusivamente sull’Ente cui le singole leggi regionali, attuative della legge cornice statale n. 281/91, attribuiscono i compiti di recupero, cattura e ricovero dei medesimi animali”. La decisione è legata proprio al fatto che in questa Regione «la legittimazione ad essere convenute con l’azione risarcitoria spetta alle Aziende sanitarie locali, cui i ricordati compiti sono affidati dalla legge regionale 12/1995, e non anche ai Comuni, cui la medesima legge attribuisce i diversi compiti di accoglienza, custodia e mantenimento degli animali dopo che sono stati catturati».
C’è però anche un altro scenario possibile. Ovvero quello in cui la Asl riesca effettivamente a dimostrare di aver messo in campo tutto quello che era nelle sue possibilità e di aver quindi mantenuto una condotta corretta. Nel caso in cui l’Azienda sanitaria riuscisse a fornire delle prove a riguardo, sempre secondo la Cassazione, il danneggiato dovrà “dedurre e dimostrare che, per esempio, il servizio era stato approntato solo sulla carta, ma che in realtà non era operativo”. C’è anche la possibilità, tutta da dimostrare, che il servizio non avesse funzionato perché le segnalazioni sulla presenza di randagi in zona erano state completamente ignorate.
L’onere della prova
Lo sfortunato vittima di aggressione (o chi, per esempio, ha fatto un incidente stradale a causa dell’attraversamento improvviso di un randagio) dovrà di conseguenza farsi carico dell’onere della prova. Questi gli elementi da tenere in considerazione:
- l’omissione dell’obbligo di controllo dell’area in cui era stata effettuata la segnalazione della presenza di cani randagi;
- il danno causato dal cane;
- il rapporto di causalità, cioè il diretto collegamento fra l’azione del cane in questione e il danno subito.
La normativa vigente (e l’eccezione)
In generale la norma che viene applicata (in mancanza di un nesso fra soggetto pubblico e animale che ha causato il danno) è quella generale sancita dall’art. 2043 del codice civile in materia di “risarcimento per fatto illecito“.
Diverso, invece, sarà il caso dei danni causati da animali appartenenti alla fauna selvatica protetta, come quelli che vivono in riserve e parchi naturali. Qui invece sarà la Provincia o l’ente preposto alla gestione del parco a dover improntare tutte le misure atte a garantire la sicurezza della specie, evitando che possano subire o causare danni: se dovesse emergere una violazione si applicherà l’art 2025 del codice civile riferita al “danno cagionato da animali”.
Cosa fare in caso di morso da un punto di vista medico
Esistono in questo senso diversi tipi di scenari, dal più serio al meno grave. Tutto dipende dalla profondità del morso, che potrebbe essere chiaramente più superficiale o più profonda. In generale, il rischio più alto che si può correre è quello di una pericolosa sovrainfezione batterica. Nel primo caso basterà occuparsi della ferita con un’accurata detersione e disinfettando la parte colpita per evitare il rischio di infezione. Nel secondo caso, invece, dopo esservi occupati della ferita comprimendola il più possibile per arrestare la fuoriuscita di sangue, sarà necessario rivolgersi al più presto ad un medico o al più vicino Pronto Soccorso che valuterà la gravità della ferita.
Infine, se il cane è un randagio di cui non si conosce lo stato vaccinale è necessario attivarsi con il proprio medico per valutare l’eventualità della profilassi antirabbica. La rabbia è infatti la principale malattia che i cani randagi possono contrarre (particolarmente in alcune zone rurali) dopo l’incontro ravvicinato con altri animali infetti come la volpe silvestre. Non c’è dubbio che, fra le tante, si tratti della malattia più temibile per un animale ma anche per lo stesso essere umano: l’infezione si trasmette tramite un morso, attraverso la saliva, e va a colpire il sistema nervoso centrale fino a rendere l’animale che ne è stato colpito incontrollabile e molto pericoloso. Nel caso di rabbia non curata, anche l’animale più docile si può trasformare in un morsicatore del tutto imprevedibile, senza considerare il fatto che la rabbia è causa di morte sicura per l’esemplare infetto. L’attuale quadro normativo prevede che la vaccinazione antirabbica sia obbligatoria solo nel caso in cui un animale da compagnia venga portato oltre il confine di Stato. Risulta quindi chiaro quanto possa essere alto il rischio di mancata vaccinazione nel caso di esemplari che vivono nella natura senza un padrone né fissa dimora.
Attenzione anche al tetano, una grave malattia (a volte mortale) che può essere contratta per la penetrazione nel nostro organismo di un particolare tipo di batterio, il Clostridium Tetani, capace di entrare in circolo nel sangue tramite ferite profonde contaminate da terra o sporco.