Obsolescenza programmata: il fine vita degli elettrodomestici deciso dai produttori

OBSOLESCENZA PROGRAMMATA

Cos’è l’obsolescenza programmata e quali sono i rischi per i consumatori e per l’ambiente

Il concetto di obsolescenza programmata fa riferimento al fatto che i dispositivi elettronici e gli elettrodomestici seguono un determinato ciclo di vita, che li porta a smettere di funzionare dopo un certo periodo di tempo, spesso finiti i due anni di garanzia legale. Considerato un telefono o qualsiasi altro device, dopo un utilizzo nel tempo comincerà a funzionare in maniera più lenta, sino al momento in cui smetterà di funzionare. Ciò è dovuto proprio all’obsolescenza programmata, un processo “di invecchiamento” predefinito dei dispositivi elettronici, che li porta ad avere una durata limitata-e programmata – nel tempo. L’obsolescenza programmata altro non è che una strategia commerciale, adottata dalle aziende produttrici per accorciare volutamente la vita dei prodotti. Il fine è, chiaramente, quello di indurre i consumatori a cambiare frequentemente e prima del tempo i dispositivi, in modo da mantenere sempre alta la domanda di prodotti sul mercato. A soffrire particolarmente di questa strategia sono gli smartphone che, insieme a frigoriferi e lavatrici, sono gli apparecchi più soggetti all’invecchiamento precoce. Tra gli espedienti utilizzati per ridurre la vita di un dispositivo si possono citare aggiornamenti che ne peggiorano il funzionamento, costi di riparazione alti o la difficoltà nel trovare i pezzi di ricambio.

La cospirazione delle lampadine nel 1924

Probabilmente si può far risalire la nascita dell’obsolescenza programmata al 1924, l’anno in cui le maggiori aziende produttrici di energia elettrica si unirono sotto l’unico cartello industriale “compagnia Phoebus”. Si può dire, quindi, che la strategia sia nata insieme alla lampadina e alla società dei consumi. Gli accordi presi dalla compagnia Phoebus fissavano la durata massima delle lampadine a mille ore di autonomia quando, fino a quel momento, la durata naturale delle lampadine si era aggirata intorno alle 2.500 ore. La scelta di impostare un limite di vita artificiale aveva un duplice scopo:

  • indurre i consumatori a cambiare più spesso le lampadine;
  • evitare che i produttori rimanessero a corto di domanda.

Fu proprio in occasione della “cospirazione delle lampadine” a nascere per la prima volta il termine “obsolescenza programmata e pianificata”, che nel tempo è stato sempre più accostato al mondo dell’informatica e dell’elettronica. Non è infrequente acquistare un prodotto e rendersi conto che, dopo un paio di anni, gli aggiornamenti di sicurezza non vengono più rilasciati. Le applicazioni smettono di diventare compatibili con il sistema operativo esistente, e di colpo il device è “tecnologicamente vecchio”. A fine 2018, in seguito ad aggiornamenti dei firmware dei loro dispositivi mobili, colossi come Samsung ed Apple sono stati pesantemente sanzionati per aver causato riduzione nelle prestazioni e disfunzioni negli smartphone.

Strategie di obsolescenza programmata

L’obsolescenza programmata è, ad oggi, parte integrante del programma di studi delle scuole per progettisti ed ingegneri. Il concetto chiave è quello di “ciclo di vita del prodotto”, che è soltanto un modo deresponsabilizzante per parlare di obsolescenza programmata.

Ma che strategie possono essere utilizzate per accorciare la vita di un prodotto? Ne sono esempi utilizzare materiali di minor resistenza, viti speciali, accorgimenti volti ad impedire uno smontaggio, assemblaggi che non rendano semplice l’estrazione del singolo alimento guasto, la non disponibilità dei ricambi dopo poco tempo dalla messa in produzione (o a prezzi così elevati da non rendere conveniente la riparazione).

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Insomma, le strategie sono molte ed utilizzare da tutti i più grandi colossi del mercato.

Concetti complementari: obsolescenza psicologica e tecnica

Due nozioni che camminano parallelamente a quella di obsolescenza programmata, sono i concetti di obsolescenza psicologica e obsolescenza tecnica. Per obsolescenza psicologica si intende quel fenomeno per cui si instaura la propensione a cambiare un determinato bene con uno successivo, non perché sia guasto ma perché viene percepito come “superato”. Nel settore dell’informatica e del pc gaming vige una folle corsa all’ultimo modello. Un ruolo sull’obsolescenza psicologica è sicuramente giocato dalle campagne pubblicitarie, sempre più mirate e pervasive.

In quanto all’obsolescenza tecnica, è chiaro che propendere per elettrodomestici o smartphone di bassa qualità incide ampiamente sulla longevità degli stessi e sul naturale processo di usura. In tal senso, una buona discriminante per assicurarsi prodotti che abbiano una lunga durata, è quella di affidarsi a marchi che certifichino il proprio ciclo produttivo.

Obsolescenza programmata: direttive Ue per il contenimento del fenomeno

Non è trascorso molto tempo prima che ci si rendesse conto che l’obsolescenza programmata, a lungo termine, non è una strategia vincente. Il team tecnico della Commissione europea ha evidenziato quali siano le tempistiche e la durata attuali dei più utilizzati dispositivi: in media, si parla di una durata di 2 anni per smartphone e piccoli elettrodomestici (come lo spazzolino elettrico), di 3-4 anni per i dispositivi portatili, di 5-6 anni per aspirapolvere, microonde e lavatrici e di 10-12 anni per televisori, frigoriferi e forni. L’altra faccia della medaglia è che questo fenomeno penalizza non solo i consumatori  ma anche l’ambiente. Per queste ragioni l’Unione europea ha deciso di adottare una serie di norme per limitare il fenomeno, imponendo una serie di divieti con un nuovo pacchetto. Tra questi, si possono citare:

  • le aziende non possono omettere di specificare ai consumatori l’introduzione di eventuali caratteristiche del prodotto che abbiano lo scopo di limitarne durata e funzionalità;
  • non sono ammesse dichiarazioni di sostenibilità ambientale rispetto ad un prodotto che venga definito “eco” o “verde”, se non pienamente dimostrabili;
  • non è possibile utilizzare marchi di sostenibilità a meno che non siano verificati e certificati da soggetti terzi o dalle pubbliche autorità.

Rispetto alla tutela dei consumatori, è stato proposto che vengano informati adeguatamente rispetto alla durata garantita dei prodotti, alla presenza di aggiornamenti software e alla disponibilità di eventuali pezzi di ricambio.

Come scegliere un prodotto “longevo”

Alcuni dei parametri da tenere in considerazione nell’acquisto di un bene, sono sicuramente:

  • intercambiabilità dei componenti;
  • indice di riparabilità;
  • garanzia commerciale.

Rispetto al primo punto, la Commissione europea suggerisce di affidarsi a brand che assicurino “tecniche di costruzione e materiali che rendano più facile e meno onerosa la riparazione del bene o la sostituzione dei suoi componenti”, privilegiando in tal senso le aziende che investono sull’intercambiabilità dei componenti.

Anche l’indice di riparabilità è un parametro da tenere presente; introdotto in Francia nel 2020 e poi esportato in tutta Europa a partire dal 2021, l’indice è una misura della facilità con cui è possibile riparare il prodotto. Un alto indice di riparabilità incide chiaramente sulla longevità del prodotto. La pecca riguarda il fatto che, comunque, il punteggio di riparabilità viene ricavato dai dati forniti dal produttore e non da enti terzi, fatto che certamente conferirebbe più autorevolezza alle stime.

In ultimo, la garanzia commerciale o convenzionale è un servizio accessorio, offerto a discrezione del produttore, che permette di prolungare la copertura della garanzia e ottenere vantaggi aggiuntivi. Se si opta per marchi che prevedano soluzioni di questo tipo, si può avere una ragionevole certezza che il brand è disposto a scommettere sulla longevità dell’articolo venduto.

I 5 punti contro l’obsolescenza programmata: cosa i parlamentari hanno chiesto alla Commissione

Tra le richieste fatte dagli europarlamentari alla Commissione europea nel 2017 per contrastare il fenomeno dell’obsolescenza programmata, ecco i punti chiave:

  • l’introduzione di un “criterio di resistenza minima” per ciascuna categoria di prodotti, sin dalla fase di progettazione;
  • l’estensione della garanzia qualora il processo di riparazione durasse più di un mese;
  • il consumatore può recarsi presso un riparatore indipendente: devono quindi essere scoraggiate le soluzioni tecniche, di sicurezza o i software che impediscono la riparazione al di fuori dei circuiti autorizzati;
  • i componenti essenziali come batterie e led non dovrebbero essere fissati nei prodotti, eccetto che per ragioni di sicurezza, per facilitarne la sostituzione dei pezzi di ricambio;
  • per garantire una migliore informazione al consumatore, è stata proposta la creazione di un “contatore dell’uso” per i prodotti di consumo più pertinenti, in particolare per i grandi elettrodomestici.

I rischi sull’ambiente

Considerato il fatto che le risorse del nostro pianeta non sono inesauribili, una produzione illimitata di apparecchi tecnologici non è certamente molto sostenibile in termini ambientali. Se si guarda all’impatto sulla produzione di rifiuti, elettrodomestici e dispositivi elettronici sono responsabili di ben 40 milioni di unità di scarto che vengono prodotte ogni anno su scala mondiale. Una cifra così elevata è imputabile al fatto che l’80% circa degli apparecchi rotti non è più aggiustabile, ed è spedito in vere e proprie discariche a cielo aperto nei paesi del terzo mondo. Per la stragrande maggioranza dei casi, si parla di frigoriferi, lavastoviglie e lavatrici ai primi posti in quanto a peso, ingombro e difficoltà di trasporto e smaltimento. Una delle soluzioni su cui si sta lavorando recentemente per arginare il fenomeno e trovare alternative sostenibili all’obsolescenza programmata è l’ecodesign, un modello di economia circolare. Questo modello prevede lo sfruttamento di tutto il ciclo di vita di un prodotto, dalla produzione con materiali sostenibili sino al suo smaltimento, al fine di ridurre il più possibile il nostro impatto sull’ambiente.

L’obsolescenza programmata è destinata a finire: le incalzanti richieste di sostenibilità

Negli ultimi anni, fortunatamente, ci si è sensibilizzati molto sul concetto di sostenibilità. Le aziende sono incalzate a rispondere alle crescenti esigenze di circolarità e si stanno cimentando per modificare le proprie strategie. È necessario ripensare ai propri modelli, incrementare la circolarità. Come sostenuto da Dario Minutella, principal di Kearney Italia, società di consulenza che ha condotto l’analisi Circular electronics: creating value from longer lives: “Nel breve periodo la tendenza è mossa dal calo del potere d’acquisto dei consumatori, l’inflazione sulle materie prime e la disponibilità di prodotti”. L’analisi Circular electronics è stata rivolta ad approfondire le scelte di acquisto responsabili per elettrodomestici e device. Ciò che è emerso è che, sul lungo periodo, le aziende saranno costrette a ripensare al proprio modello di business nell’ottica della circolarità, già oggetto di studio dell’Ue.

Sulla scia di questo nuovo indirizzo della Ue, sono molti i mercati emergenti che hanno trovato la loro nascita sul business del ricondizionato, acquistando dalle aziende grandi moli di dispositivi, ricondizionandoli e vendendoli online.

Se nel mondo di smartphone, tablet e pc la tendenza si è chiaramente modificata, il cambiamento è molto più lento sul versante grandi elettrodomestici. Sicuramente, anche in questo caso è cambiato qualcosa: frigoriferi, forni e lavatrici hanno una vita media molto più lunga di prima e qualcosa sta avvenendo nel mondo delle macchinette del caffè.

Nei piani di molte big dell’elettronica si stanno affermando anche modelli di noleggio, che prevedano il pagamento di un canone mensile che includa anche manutenzione e aggiornamenti.

La risposta degli italiani alle nuove tendenze del mercato

L’analisi condotta da Kearney su diecimila consumatori tra Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Usa, ha evidenziato come gli italiani siano più reticenti ad accogliere questi nuovi modelli, usati e ricondizionati. Analogamente a quanto accade per la moda second hand, quasi i due terzi degli italiani sembra non essere interessato neanche al noleggio di un prodotto ricondizionato. L’80% degli italiani sembra inoltre preferire un dispositivo o elettrodomestico di bassa qualità, piuttosto che uno di alta qualità a noleggio. La tendenza, di contro, è totalmente ribaltata in altri paesi, come in Germania.