Tropicalizzazione del Mediterraneo: specie aliene e riscaldamento minacciano il mare Nostrum

TROPICALIZZAZIONE MEDITERRANEO

Gli effetti devastanti della tropicalizzazione del Mediterraneo sono sempre più evidenti. In alcuni paesi come Libano, Turchia e Tunisia si sta cercando di trasformare questa minaccia in nuove opportunità per la pesca

Il processo di tropicalizzazione del Mediterraneo continua a manifestare i suoi effetti, a cominciare dall’insediamento delle acque di specie provenienti da aree tropicali o sub-tropicali in precedenza estranee a questo mare.

Molti esperti facevano risalire l’inizio di questo fenomeno agli anni Settanta del Novecento, in parallelo al progressivo aumento della temperatura globale (il riscaldamento globale o cambiamento climatico).

Già in uno studio pubblicato nel 2003 gli analisti dell’Università di Genova mettevano in guardia dai cambiamenti in atto. Più che di tropicalizzazione del Mediterraneo, l’esperto professor Carlo Nike Bianchi, nei suoi quaderni sulle biodiversità marine, preferisce il termine “meridionalizzazione” del bacino del Mediterraneo.

Un’ultima ricerca italiana a cura dell’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Irbim) e pubblicato sulla rivista Global Change Biology, ha ricostruito oltre un secolo di invasioni di specie tropicali nel Mediterraneo.

Le cause di questa invasione sono legate a due macrofattori:

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  • Il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature dei mari;
  • Le attività umane (traffico, pesca intensiva ed eccessiva, inquinamento, scarico di navi).

Quali sono le specie predominanti nel Mediterraneo

La tropicalizzazione del Mediterraneo è un processo in corso e in divenire. Si parla di meridionalizzazione poiché il bacino del “Mare Nostrum” non ha ancora acquisito una fisionomia tropicale, tanto è vero che alcune specie predominanti (come le alghe frondose invece dei coralli) resistono ai cambiamenti.

Quali sono le nuove specie del Mediterraneo

Le nuove specie tropicali migrate nel Mediterraneo provengono essenzialmente da due aree:

  • Organismi passati attraverso il Canale di Suez, provenienti dal Mar Rosso (in questo caso si parla di migrazione lessepsiana, dal nome di Ferdinand de Lesseps, promotore ed esecutore del progetto del Canale di Suez);
  • Altre specie provengono dalle coste africane dell’Oceano Atlantico, giunte attraverso lo Stretto di Gibilterra.

Le specie introdotte volontariamente

  • A questo “flusso migratorio” vanno sommate anche le specie introdotte nel Mediterraneo, sia in modo volontario (ad esempio, con la vongola Tapes philippinarum), sia per caso, soprattutto attraverso le acque di sentina delle navi e degli scafi provenienti dagli scoli e infiltrazioni, che spesso vengono scaricate in mare senza nessuna precauzione.

Quante specie “aliene” ci sono nel Mediterraneo

Nel 2010 sono state recensite 955 specie “aliene” arrivate nel Mediterraneo, 134 delle quali sono state reputate invasive. Queste specie rappresentano il 5,9% della biodiversità del Mediterraneo (a esclusione di fitoplancton e microzooplancton).

Più considerevole è la speciealiena” che riguarda i pesci, che nel 2010 rappresentavano il 27,9% delle specie originariamente estranee al Mediterraneo.

Gli esperti però specificano che non tutte le specie nuovamente introdotte sono dovute al processo di tropicalizzazione del Mediterraneo. Andrebbero incluse anche quelle provenienti dalle acque di sentina delle navi, un certo numero proviene dalle acque fredde del nord Atlantico (fra il 4 e il 21% del totale).

Certamente il riscaldamento delle acque ha determinato una presenza di alghe coralline, molluschi vermeti, policheti serpulidi, coralli sclerattinidi: tutte specie che potrebbero fare da corallo costruttore.

I rischi della tropicalizzazione del Mediterraneo

L’ultimo report del Wwf segnala almeno 6 effetti del cambiamento climatico sul Mediterraneo.

  • Tropicalizzazione del mareMolte specie autoctone sono costrette a spostarsi o a morire a causa dell’aumento delle temperature. La totale mancanza di specie mediterranee comuni e la grande presenza di specie non indigene rende il paesaggio marino irriconoscibile rispetto ad altri siti mediterranei. A rischio, dunque, è la biodiversità marina autoctona.
  • Migrazioni di pesciQuasi 1.000 nuove specie invasive (di cui 126 specie ittiche) sono entrate nel Mediterraneo, causando riduzioni delle specie autoctone fino al 40% in alcune aree, per motivi di competizione o predazione. Anche all’interno del bacino, le specie ittiche si stanno spostando dalle coste meridionali dell’Africa verso acque settentrionali ormai diventate più calde.
  • Aumento di meduseÈ in corso una gelificazione del mare con fioriture di meduse che si verificano ogni anno e durano più a lungo nelle acque meridionali. Inoltre, anni di pesca eccessiva hanno distrutto molti degli stock che erano soliti competere con le meduse per il cibo, e ora alcuni pescatori catturano più meduse che pesci. A rischio dunque è il settore della pesca, già devastato dal caro energia e dell’aumento dei costi. Negli ultimi anni i paesi del Mediterraneo sono stati costretti ad adottare misure comunitarie restrittive sulla pesca e “fermo biologico” per ripopolare la fauna marina.
  • Praterie di posidonia a rischioLe praterie di posidonia sono minacciate dal riscaldamento delle acque e dall’innalzamento del livello del mare, con gravi conseguenze per la biodiversità e il carbonio cosiddetto “blu”. Anche l’ancoraggio delle imbarcazioni distrugge le foglie di Posidonia e sradica intere piante. Le praterie di posidonia immagazzinano dall’11 al 42% delle emissioni di CO2 dei paesi mediterranei, perciò svolgono un ruolo fondamentale nella produzione di ossigeno. Grazie al suo sviluppo fogliare la posidonia libera nell’ambiente fino a 20 litri di ossigeno al giorno per ogni metro quadro di prateria. Produce ed esporta biomassa sia negli ecosistemi limitrofi sia in profondità. Quindi, contrasta l’inquinamento.
  • Allarme gorgonieWwf ricorda che nel 2018 nel Mar Ligure il 30% di tutte le gorgonie dell’area è stato distrutto da una tempesta. Una singola mareggiata ha distrutto il 30% di tutte le gorgonie in Liguria. Questa specie di corallo che forma vere e proprie foreste sommerse che fino ad ora hanno svolto un ruolo chiave in molti complessi ecosistemi mediterranei vengono distrutte da condizioni meteorologiche estreme. La gorgonia può vivere fino a 60 anni ma è minacciata da periodi prolungati di acque calde che ne causano la mortalità di massa.
  • Scomparsa del mollusco pinna nobilisL’80-100% della popolazione di pinna nobilis è recentemente scomparsa in veri e propri eventi di mortalità di massa in Spagna, Italia e altri siti mediterranei. Il più grande bivalve endemico del Mediterraneo e uno dei più grandi al mondo, può fornire habitat essenziali per moltissime specie, fino a 146 diverse. La pinna nobilis è un mollusco comunemente noto come “nacchera”, pinna comune, cozza penna o stura.

Le cause della tropicalizzazione del Mediterraneo

I fattori che portano a una evoluzione della biodiversità marina nel Mediterraneo sono molteplici e non tutti riconducibili direttamente al cambiamento climatico.

  • Il traffico marino e il riscaldamento del mare

Gli esperti hanno rilevato la presenza nel Mediterraneo di almeno tre specie di madrepore dotate di zooxanthelle e capaci di biocostruzioni. Due sono autoctone (Cladocora caespitosa e Madracis pharensis), mentre una (Oculina patagonica) è stata introdotta dal traffico navale probabilmente dall’oceano Atlantico sudoccidentale.

Tutte e tre le specie sono presenti in tutto il Mediterraneo e non hanno mostrato tendenza a formare biocostruzioni simili a quelle presenti nei mari tropicali. Tuttavia, con l’aumento delle temperature queste specie mostrano la tendenza ad aumentare la crescita e la fissazione di carbonato di calcio. Per quanto riguarda la Cladocora caespitosa esiste un record fossile che mostra come nel passato geologico durante le fasi più calde del Mediterraneo la specie tendesse a formare biocostruzioni di maggiori dimensioni.

Cosa sta accadendo nel Mar Mediterraneo

Molte specie tropicali di nuovo ingresso si sono perfettamente ambientate al punto da arrivare a soppiantare le specie autoctone e da essere comunemente pescate e commercializzate. Ecco alcune di queste specie:

  • La ricciola fasciata (Seriola fasciata) e altre ricciole di origine africana (Seriola rivoliana e Seriola carpenteri);
  • La bavosa africana ed il pesce palla (Sphoeroides pachygaster);
  • La triglia (Upeneus moluccensis), specie tra i lessepsiani che ha colonizzato in modo rapido il bacino orientale del Mediterraneo;
  • Il pesce scoiattolo (Sargocentron rubrum);
  • Il pesce coniglio (Pesci del genere Siganus), una specie di pesce marino trovato nelle barriere coralline e nelle lagune del Pacifico occidentale tropicale;
  • Il granchio Percnon gibbesi originario delle acque tropicali americane sia dell’Atlantico che del Pacifico (Dopo una prima segnalazione nel 1999 nell’isola di Linosa dal 2016 si è notata una sua notevole colonizzazione su tutte le coste mediterranee);
  • Due alghe del genere Caulerpa (C.taxifolia e C.racemosa) entrambe di origine tropicale sono state accidentalmente introdotte e si sono diffuse nel Mediterraneo, mettendo a rischio habitat importanti come le praterie di Posidonia oceanica;
  • Il nudibranco Melibe fimbriata, specie originaria dell’oceano Indiano, segnalata per la prima volta nel Mediterraneo nel 1984;
  • Un’angiosperma marina (Halophila stipulacea) si è diffusa tra migranti lessepsiani (Le specie lessepsiane si stanno rapidamente diffondendo nell’est Mediterraneo a causa della povertà faunistica dei bacini orientali di questo mare, dovuta a vicissitudini biogeografiche, che ha lasciato numerosissime nicchie ecologiche libere.

Quali sono le conseguenze della tropicalizzazione del Mediterraneo?

Non solo specie marine a rischio e cambiamenti dei fondali. Le conseguenze della tropicalizzazione del Mediterraneo possono essere di notevole impatto. Gli effetti nel lungo periodo possono essere devastanti. Ecco cosa potrebbe accadere e in parte già sta accadendo.

Rischi per l’economia del Mediterraneo

  • La tropicalizzazione del Mediterraneo orientale si sta espandendo verso Occidente con l’innalzarsi della temperatura media dell’acqua, minacciando ecosistemi ed economie locali.
  • Specie invasive altamente distruttive (come il pesce coniglio e il pesce scorpione) si stanno diffondendo, devastando ecosistemi nativi. Nelle acque israeliane solo il 5-12% delle specie native di molluschi è ancora presente. La biomassa organica può essere 44 volte più bassa rispetto alle foreste algali. Barriere coralline impoverite si trasformano da depositi a sorgenti di carbonio.
  • Il 95% delle prede del pesce scorpione è costituito da pesci nativi di notevole importanza per l’economia nel Mediterraneo e la pesca.
  • Danni per il turismo e la pesca causati anche dal numero senza precedenti di meduse che ogni anno distruggono le attività di pesca e travolgono le spiagge turistiche.
  • Innalzamento dei livelli del mare e riscaldamento delle acque (una minaccia per la sopravvivenza delle vitali praterie di posidonia, con conseguenze disastrose per l’ambiente e per la biodiversità).
  • I fenomeni climatici estremi stanno distruggendo le specie di corallo che hanno un ruolo fondamentale in molti complessi ecosistemi del Mediterraneo.

In Tunisia si pescano più meduse che pesci

Nelle acque meridionali del Mediterraneo le invasioni di meduse avvengono ormai annualmente e durano più a lungo. Nel Golfo di Gabes, in Tunisia, alcuni pescatori stanno catturando più meduse che pesce.

I danni della pesca intensiva

Non solo riscaldamento globale, ma anche le attività intensive dell’uomo stanno distruggendo la biodiversità, con conseguenze negative che si ritorcono sull’attività economica stessa dell’uomo. La pesca eccessiva ha ridotto i predatori delle meduse e anche molte delle specie che competono con le meduse per il cibo, lo zooplancton.

Cosa fare per salvare il Mediterraneo?

Il Wwf promuove una campagna di protezione del mar Mediterraneo. L’obiettivo è fare in modo che il 30% del Mediterraneo sia protetto in maniera efficace entro il 2030. Esistono forti prove scientifiche che confermano come, aumentando la protezione in aree chiave del Mediterraneo, gli habitat marini potrebbero riprendersi, gli stock ittici chiave essere ricostituiti e noi potremmo combattere al meglio l’impatto del cambiamento climatico.

Più Aree marine protette

“Data l’interdipendenza di clima, biodiversità e oceano è di primaria importanza che i paesi mediterranei utilizzino efficacemente le nature-based solutions per mitigare gli impatti del cambiamento climatico, soprattutto potenziando i network di Aree marine protette (Amp).

Per permettere il ripristino degli ecosistemi marini e per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, almeno il 30% del Mar Mediterraneo dovrebbe essere protetto e gestito in modo efficace ed equo e attraverso un network di Amp ecologicamente rappresentativo e ben interconnesso e altre efficaci misure di conservazione dello spazio marino (Other effective area-based conservation measures, Oecm).

Un network coerente di Amp e Oecm può dare un contributo sostanziale all’adattamento e alla mitigazione climatica”.

Le specie aliene si possono pescare?

In Turchia e in Libano si stanno formando nuove generazioni di pescatori per incoraggiare i consumatori a provare queste specie “aliene” che invadono il Mediterraneo, come la chimera e il pesce scorpione.

In Tunisia, con il sostegno della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il granchio blu sta diventando una fonte di reddito, mentre prima era una minaccia per la pesca tradizionale.

Sulla base di questi cambiamenti, la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm) istituita dalla Fao, ha lanciato un programma di ricerca per individuare nuove soluzioni e trasformare queste invasioni in opportunità. E per rendere più sostenibile la pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero.

Un alto funzionario della Fao presso la Gfcm, Miguel Bernal, sostiene che “laddove sono possibili la commercializzazione e lo sfruttamento di tali specie (come fonte di cibo, prodotti farmaceutici o altro), la pesca commerciale ha dato prova di essere lo strumento più efficace per risolvere il problema”.