Le padelle antiaderenti sono un alleato comune di moltissime ricette, grazie alle proprietà di anti aderenza che facilitano il soffritto e la cottura. Ma quello che forse non tutti sanno è che, se non buttate via al momento giusto, possono causare importanti problemi di salute
Le padelle antiaderenti sono un valido aiuto in cucina, dal momento che permettono di cuocere senza l’aggiunta di grassi ed evitano che il cibo si attacchi con facilità. Purtroppo, però, hanno una pecca importante. Il materiale del rivestimento, per quanto si possa prestare attenzione, è facilmente soggetto ad usura. Qual è la durata media di una padella antiaderente? Con un uso quotidiano o comunque molto frequente, si ritiene che la durata di una padella antiaderente sia in media di cinque anni. Ci sono alcuni segnali inequivocabili che permettono di stabilire quando è arrivato il momento di cambiare padelle.
Parametri a cui prestare attenzione
I “segni” del deterioramento di una padella possono essere ricercati:
-nella deformazione: a causa di usi frequenti e la continua esposizione a calore e/o umidità, capita che le padelle si deformino. Questo è un segnale di allarme importante ed implica la necessità di sostituirle, soprattutto per questioni di salute. La superficie irregolare potrebbe, di fatto, far cuocere il cibo in modo disomogeneo, causando fastidiosi problemi digestivi;
-nello scolorimento: che le padelle sbiadiscano è un dato di fatto, e ciò accade per l’uso continuo e regolare del calore. Ma se lo scolorimento è scuro, questo è un segno del fatto che il rivestimento è stato danneggiato, e i detriti dello stesso potrebbero facilmente mescolarsi con il cibo durante il processo di cottura;
-ai graffi: è importante fare una considerazione. La maggior parte delle pentole viene prodotto con il teflon, una sostanza chimica artificiale nella cui preparazione viene utilizzato anche acido perfluoroottanico (Pfoa), composto noto per essere cancerogeno. Questa non è la regola, visto che sul mercato si trovano moltissimi marchi di pentole che garantiscono l’assenza di questo composto ed è addirittura diventato uno strumenti di marketing (Senza Pfoa, Pfoa Free). La presenza di graffi evidenti è un segno che la superficie in teflon è danneggiata. La conseguenza inevitabile è che le sostanze chimiche potrebbero sfaldarsi nel cibo, rendendolo tossico.
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Ci sono delle parti della padella che, più di altre, sono soggette ad usura. Una di queste è sicuramente il manico, di cui non è raro il deterioramento del rivestimento. Di fatto, nonostante sia di solito fatto di materiale termoresistente, finisce facilmente per deformarsi in seguito al contatto prossimo con la fiamma. Una buona opzione sarebbe scegliere pentole con manici in acciaio saldati o rivettati, per avere la garanzia di una certa longevità.
Da queste brevi considerazioni appare quindi evidente come le padelle, anche le migliori, non siano certamente eterne. Gli chef sostengono che ogni articolo da cucina abbia una durata di conversazione, e quello di una padella antiaderente si aggira tra i 4-5 anni. Oltre questo limite, è bene cambiarle per rimanere sempre al sicuro e in salute!
Oltre tutto, una padella rovinata non avrà più neanche il suo miracoloso effetto antiaderente… o almeno, non quello di una volta.
Breve cenni storici sulle padelle antiaderenti
L’arrivo delle padelle antiaderenti può essere fatto risalire già all’antica Roma, nella quale si soleva utilizzare utensili con il fondo rosso, le cosiddette “padelle di Cuma”. Si trattava di utensili in ceramiche molto resistenti, analoghi in qualche modo alle attuali padelle antiaderenti. Ma la vera rivoluzione è avvenuta nel 1938 con Du Pont, che ha rivalutato le proprietà antiaderenti del teflon, casualmente scoperto come gas refrigerante. Ma già allora era noto il “piccolo” difetto del teflon: la sua capacità di rilasciare microframmenti una volta che fosse stato scalfito con coltelli, forchette o spatole metalliche.
Attenzione ai Pfoa: l’analisi di 60 millions de consommateurs
Nonostante la maggioranza delle padelle antiaderenti rechi con sé la dicitura “Pfoa-free” a garanzia dell’assenza di questo acido, un’analisi del magazine francese 60 millions de consommateurs ha dimostrato esattamente il contrario. Rispetto al teflon è bene sapere che, nonostante un tempo fosse molto utilizzato come impermeabilizzante, è vietato nell’Ue dal 2020. Il magazine francese ne ha però trovato tracce in tre modelli di padelle, tra cui uno italiano. I modelli in questione erano Sitram, Lagostina Salvaspazio ed Essentiel B, in cui sono state rilevate quantità pari, rispettivamente, a 2,3 nanogrammi per chilogrammo (ng/kg) di simulante alimentare, 2,17 ng/kg e 1,36 ng /kg.
La normativa europea, in merito, tollera la presenza (anche involontaria) in tracce negli articoli. Sono state avanzate numerose spiegazioni della presenza di teflon in sostanze che, tecnicamente, sarebbero dovute essere Pfoa free. Una delle ipotesi più accreditate è che la presenza in tracce fosse riconducibile all’inquinamento introdotto durante la progettazione, l’imballaggio o il trasporto. Resta comunque il fatto che contenevano una delle sostanze perfluoroalchiliche più pericolose in circolazione. Per non parlare, poi, della presenza di Pfas. Lo stesso magazine ha infatti riscontrato una migrazione di PfhxA su Essential B e di PfhxS su Sitram.
Come smaltire le padelle antiaderenti
É bene sapere che ogni comune ha le proprie disposizioni in materia di smaltimento di rifiuti. Nello specifico caso delle padelle antiaderenti la situazione si complica, perché si tratta di oggetti composti da una pluralità di materiali. Dove buttare, dunque, le padelle antiaderenti? A causa delle complessità della loro realizzazione e all’eterogeneità di materiali utilizzati, è assolutamente vietato buttare padelle o pentole direttamente all’interno di un cassonetto (di plastica o vetro che sia). Bisogna invece rivolgersi al centro di riciclaggio comunale, alle isole ecologiche o prenotare il ritiro del rifiuto telefonando a chi di competenza.
La questione Pfoa: l’Airc fa chiarezza
Il dibattito sulla pericolosità delle padelle con rivestimento antiaderente è aperto da ormai svariati anni, per cui l’Airc ha dato una risposta definitiva in merito, facendo chiarezza su alcuni punti. In primo luogo, l’Airc specifica che i tegami di nuova generazione, costruiti nel rispetto delle normative vigenti, possono contenere politetrafluoroetilene(più conosciuto con i nomi commerciali dei prodotti in cui è contenuto, per esempio Teflon, Fluon, Algoflon, Hostaflon, Inoflon), una sostanza composta da carbonio e fluoro e utilizzata oggi in diversi contesti.
La scoperta del politetrafluoroetilene verrebbe fatta risalire allo statunitense Roy J.Punkett, che nel 1928 scoprì accidentalmente presso l’azienda DuPont una polvere frutto del legame di molecole di gas Tfe (tetrafluoroetilene). Il polimero si presenta quindi sottoforma di polvere inodore, bianca, inerte, insolubile e non infiammabile. Non conduce elettricità e rimane stabile fino a temperature molto elevate (vicine ai 300°C).
Il rivestimento, di per sé, non è associato ad un rischio maggiore di ammalarsi di cancro o ad altre condizioni mediche rilevanti, a patto che la cottura non sia troppo elevata e la superficie del tegame rimanga integra. La sicurezza del politetrafluoroetilene è stata riconosciuta dall’American Cancer Society, che ha affermato che il composto non è cancerogeno e non provoca rischi per la salute alle dosi con le quali normalmente si entra in contatto. Seppur considerata rara, l’Airc ammette l’eventuale presenza di Pfoa, classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro in classe 2B (possibilmente cancerogeno per l’uomo).
Proprio in questo contesto entrano in gioco i potenziali rischi nell’utilizzo di prodotti che contengono politetrafluoroetilene, dal momento che spesso l’acido perfluoroottanico (Pfoa), anche noto come C8, viene impiegato in alcune fasi della produzione del politetrafluoroetilene stesso. I dati provenienti dall’Epa (l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense) sembrerebbero suggerire un nesso causale tra Pfoa e composti simili e il cancro; l’Acghih (American conference of governmental industrial hygienists) ha classificato, in modo analogo, il Pfoa come cancerogeno confermato negli animali, con rilevanza incerta negli esseri umani. Studi condotti su animali di laboratorio hanno mostrato un incremento di tumori di fegato, testicoli, mammella e pancreas dopo esposizione a Pfoa, seppur a dosi molto elevate e per periodi prolungati di tempo, condizioni difficili nella vita quotidiana.
I dati sugli esseri umani sono meno consistenti e meno chiari; si basano, in particolare, su studi condotti in persone esposte a Pfoa per motivi professionali o di residenza vicino ad impianti di produzione. Anche in questi casi, sono state rilevate prove di un incremento nel rischio di alcuni tumori (come vescica, testicolo e fegato).
Sulla base di questi ed altri studi, nel 2006 l’Epa e altre otto aziende che utilizzavano regolamente Pfoa hanno dato il via ad uno speciale programma volto a ridurre i livelli di emissioni, nonché i prodotti contenenti questa sostanza, del 95% entro il 2010 e di eliminarli entro il 2015. Secondo i dati e le dichiarazioni delle aziende, l’obiettivo è stato raggiunto. Nel frattempo, come dichiarato dal’Efsa, dal 4 luglio del 2020 sono entrate in vigore restrizioni alla fabbricazione e all’immissione sul mercato dei Pfoa, in seguito alle valutazioni scientifiche effettuate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa).
Come utilizzare in sicurezza le pentole antiaderenti
Tenendo in considerazione quanto detto, bastano alcuni semplici accorgimenti per utilizzare in modo sicuro le pentole antiaderenti. Tra questi si hanno:
- non scaldare mai il tegame vuoto: così facendo, si evita di raggiungere temperature troppo elevate alle quali la stabilità dei materiali è compromessa; i materiali infatti sono sicuri fino a una certa temperatura (solitamente oltre i 250°-300°C),superata la quale la loro stabilità potrebbe essere compromessa e le padelle potrebbero rilasciare vapore. Spesso si compie l’errore di “preriscaldare” la padella vuota. Bisognerebbe sempre aggiungere dell’olio o del burro prima di accendere la fiamma!
- lasciare raffreddare la padella prima di riempirla con acqua fredda, per evitare che l’escursione termica danneggi il rivestimento;
- attenzione al lavaggio: mai lavare le padelle antiaderenti in lavastoviglie e, quando possibile, prediligere prodotti delicati o naturali per il lavaggio, insieme ad una spazzola in plastica con setole morbide;
- evitare di impilare le padelle antiaderenti in modo casuale, ma premurarsi di separarle dalle stoviglie tradizionali. Di fatto, a contatto con altri materiali, le padelle tendono a graffiarsi e rovinarsi. Un consiglio semplice potrebbe essere quello di porre della carta assorbente tra una padella e l’altra;
- evitare di lasciare gli avanzi in padella, dato che non solo il cibo potrebbe assumere un sapore metallico, ma a lungo andare il rivestimento potrebbe rovinarsi assumendo i grassi della cottura;
- in molti fanno l’errore di utilizzare “spray antiaderenti”, qualcosa di simile ad olio in lattina poco consigliato per la cottura con padelle antiaderenti. La ragione risiede nel fatto che tende a formare una patina ai lati della padella, che a lungo andare creerà una barriera tra cibi/rivestimento;
- non utilizzare utensili metallici o appuntiti nella padella, né lavarla con spugne abrasive o di metallo. Si dovrebbe optare per utensili antigraffio che non rovinino il fondo delicato delle padelle antiaderenti, come legno, bambù o silicone per alimenti;
- usare la padella con attenzione evitando di graffiarla o scheggiarla;
- non utilizzare le padelle in teflon come bistecchiere o comunque per la cottura senza condimento in quanto in questo modo aumenta notevolmente la temperatura;
- mantenere il locale ben areato quando si cucina;
- buttare le pentole se il rivestimento risulta particolarmente rovinato o graffiato. Il rischio, infatti, pur non derivando tanto dal rilascio di particelle di rivestimento (che comunque è sempre bene non digerire), è pericoloso per quelle del metallo sottostante, spesso non adatto ad entrare in contatto con gli alimenti.
In conclusione: no, il rivestimento delle pentole antiaderenti non è di per sé pericoloso per la salute, ma alcune sostanze potenzialmente contenute nel processo di produzione lo sono. I tegami di produzione più recente dovrebbero essere Pfoa free. Per esserne certi, comunque, è sempre bene optare per prodotti di qualità, leggere sempre le istruzioni e buttare via le padelle rovinate.
Un’ultima opzione per una maggiore sicurezza
Certo è che sentendo parlare dei possibili rischi associati all’utilizzo di Pfoa nella preparazione del teflon, ci si potrebbe chiedere se esistano alternative. E queste ci sono, certo. Si potrà optare per pentole in:
–acciaio inossidabile: sebbene non paragonabili, anche in questo caso sussistono dei rischi per padelle molto deteriorate, che andrebbero comunque cambiate;
–alluminio: questa scelta è tuttavia sconsigliabile se non è anodizzato;
–ghisa: potrebbe rilevarsi una scelta ottima, sia per la durata del materiale sia per il fatto che distribuisce il calore in modo omogeneo;
–rame: le padelle con questo materiale hanno una conducibilità termica elevata, durano in eterno ed erano il corredo tipico delle vecchie cucine
–vetro pirex
–bambù: ottimo per la cottura a vapore.