Che cos’è il reato di patrocinio infedele: quando si configura, chi sono i soggetti coinvolti e quali sono le pene previste. La responsabilità civile dell’avvocato e come chiedere il risarcimento per un disservizio del professionista.
L’ordinamento giuridico italiano tutela i clienti di avvocati che subiscono errori causati dai loro legali. La fattispecie, nei casi meno gravi, è si illecito civile e di reato di patrocinio infedele, in quelli più pesanti, puniti dall’articolo 380 del codice penale, imputabile all’avvocato che non svolge al meglio il proprio compito e che, volutamente, assista un cliente con il solo fine di danneggiarlo.
Il reato di patrocinio infedele, che cos’è
In base a quanto previsto dall’art. 380 del codice penale, il reato di patrocinio infedele si configura quando “il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale”. Nel descrivere il reato di patrocinio infedele, dunque, iniziamo col dire che questo si manifesta quando il professionista non svolge bene il proprio compito e arreca un danno al proprio cliente.
Condizione necessaria per la configurazione del reato è che il comportamento del professionista sia condizionato da un dolo e dunque dalla volontà espressa di agire contro gli interessi del proprio cliente. Ne deriva che un avvocato nell’esercizio delle proprie funzioni può essere denunciato solo nei casi in cui commetta un reato orientato da una volontà di commetterlo. Secondo quanto previsto dalla giurisprudenza, tale fattispecie si ha nei casi in cui il professionista anziché difendere e tutelare gli interessi del proprio assistito, gli arreca volontariamente dei danni al fine di conseguire interessi personali. Un esempio concreto di reato di patrocinio infedele è quello relativo al caso in cui un avvocato stringa un accordo con la controparte giuridica senza informare il proprio cliente. Quest’ultimo è considerabile dunque come parte lesa. Altri esempi sono i casi in cui accetta denaro dalla parte avversaria per far andare in prescrizione il credito del proprio cliente o l’intero processo, oppure quando il legale rinunci ad un testimone che avrebbe potuto far assolvere il proprio cliente.
Gli avvocati che si espongono al reato di patrocinio infedele corrono pesanti ripercussioni, con le sanzioni che possono prevedere da uno fino a tre anni di reclusione e una multa non inferiore a 516 euro. Tali pene possono anche essere aumentate se l’avvocato ha commesso il fatto:
- colludendo con la parte avversaria;
- a danno di un imputato.
Inoltre, nei casi in cui il comportamento scorretto del legale venga commesso ai danni di una persona imputata di un delitto per il quale la legge prevede la pena dell’ergastolo o una reclusione superiore a cinque anni, le sanzioni previste aumentano:
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- è prevista la reclusione da tre a dieci anni;
- una multa non inferiore a 1032 euro.
Va tuttavia sottolineato che per configurarsi il reato di patrocinio infedele è necessario che venga dimostrato che il legale abbia agito con la precisa intenzione di provocare un danno al proprio cliente. Non è sufficiente, dunque, che l’avvocato commetta un errore dovuto a negligenza o mancanza di esperienza.
I soggetti del reato di patrocinio infedele
Così come avviene per tutti i reati, anche in quello di patrocinio infedele vengono indicati dalla norma i soggetti attivi e passivi. Entrando più nello specifico, in questo caso i soggetti attivi del reato vengono indicati come il “patrocinatore” o il “consulente tecnico”, da intendersi come tutti coloro che sono abilitati a difendere, rappresentare o assistere davanti all’autorità giudiziaria. Sono dunque gli avvocati, i praticanti con patrocinio, gli avvocati dello Stato, gli ufficiali difensori dinanzi ai tribunali militari.
In merito alla persona offesa, il soggetto passivo del reato, questa viene individuata nella pubblica amministrazione nella sua articolazione di amministrazione giudiziaria. Tuttavia, vista la particolare fattispecie del reato, l’art. 380 del codice penale “configura la fattispecie come reato necessariamente plurioffensivo, all’amministrazione giudiziaria giustapponendo come persona offesa in via diretta dal reato anche la parte processuale difesa dal patrocinatore infedele” (cfr. Cass. n. 45059/2014)”, Questo vuol dire che, oltre alla pubblica amministrazione, è da considerarsi come soggetto passivo anche la parte assistita dall’avvocato, ovvero il cliente.
Tempistiche e modalità della denuncia
Nel momento in cui il cliente di un avvocato ravvisa nel comportamento del proprio difensore un comportamento doloso che possa permettere di configurare il reato di patrocinio infedele, ha la possibilità di denunciarlo alle pubbliche autorità. Andranno in questo caso rispettate delle tempistiche serrate, con il cliente che ha un massimo di sei anni per sporgere denuncia. Il tempo decorre dal giorno in cui l’avvocato ha commesso il reato, ovvero da quando il suo comportamento ha arrecato dei danni al proprio assistito.
L’arco temporale della possibilità di sporgere denuncia combacia con il periodo di prescrizione del reato di patrocinio infedele che è, per l’appunto, di sei anni, a meno che non vi sia la presenza di particolari aggravanti. Da un punto di vista pratico, questo vuol dire che se il cliente provasse a denunciare il proprio avvocato per il reato di patrocinio infedele dopo i 6 anni, la Procura della Repubblica non potrebbe far altro che archiviare il caso, visto che il reato è già caduto in prescrizione.
Nel rispetto dei sei anni, invece, la denuncia viene accolta dalla Procura e si avvia un processo ai danni dell’avvocato accusato. Il cliente, in questi casi, potrà costituirsi anche parte civile nel processo penale intrapreso contro il proprio legale infedele. Ciò gli permetterà, in caso di vittoria, di ottenere un risarcimento dei danni patiti a causa dello scorretto comportamento dell’avvocato.
Il concorso con altri reati
Data la sua configurazione da parte dell’ordinamento giuridico, il patrocinio infedele può spesso essere in concorso con altri reati. Il caso più comunemente diffuso è quello della truffa che si verifica nei casi in cui la condotta infedele dell’avvocato oltre che arrecare danno alla parte assistita procura al legale un ingiusto profitto. Ecco dunque che l’occultamento di notizie funzionali alla causa del difeso o l’omissione di testimoni chiave – che configura il reato di patrocinio infedele – può essere in concorso con la truffa se tale comportamento dell’avvocato porta allo stesso un guadagno ingiusto.
Altra tipologia di concorso molto frequente è quella tra il reato di patrocinio infedele e la rivelazione del segreto professionale, disciplinato dell’art. 622 del codice penale, oppure con quello di frode processuale, previsto dall’art. 374 del codice penale, o con il reato di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri, art. 490 del codice penale.
La responsabilità civile dell’avvocato
Come già accennato in precedenza, affinché si verifichi il reato di patrocinio infedele è necessario dimostrare la palese volontà dell’avvocato di arrecare un danno al proprio cliente. In tutti gli altri casi, invece, non è possibile procedere con una denuncia penale, ma solo con un’azione in sede civile per dimostrare che la condotta colpevole dell’avvocato è stata la causa determinante del danno. È questa la situazione tipica nei casi di atti di negligenza del legale o di errori commessi per inesperienza, dove dunque non vi è dolo o volontà alla base di danneggiare il proprio assistito. In tali casi i clienti possono comunque muoversi in sede civile per chiedere, in giudizio, al proprio legale di rispondere dei danni arrecati, ma non si può parlare di una vera e propria denuncia. Le tempistiche per farlo sono di dieci anni che decorrono da quando l’incarico dell’avvocato è cessato per rinuncia, revoca o perché il processo si è concluso. Viene dunque applicato l’ordinario termine di prescrizione decennale trattandosi di una semplice responsabilità contrattuale.
Chiedere un risarcimento all’avvocato
In base a quanto fin qui descritto, appare evidente che vi sia una netta distinzione tra la responsabilità civile dell’avvocato, che riguarda i casi in cui lo stesso sia inadempiente in riferimento ad alcune pratiche, e la configurazione del reato di patrocinio infedele. Tale aspetto fa sì che per ottenere un risarcimento dall’avvocato non è sufficiente dimostrare un suo errore, ma è necessario provare che quell’errore è stato determinante per pregiudicare le ragioni del cliente, le quali sarebbero state altrimenti riconosciute. Ecco dunque che se il professionista pone in essere un atto qualsiasi di negligenza, ma questo non influisce sull’esito della causa che sarebbe stata comunque persa, il cliente non ha diritto a ricevere nessun risarcimento. Diversamente se tale atto di negligenza è stato la causa della sconfitta del cliente, quest’ultimo potrà rivalersi nei confronti del suo legale.