Il diritto all’oblio tutela anche le persone che hanno saldato il conto con la giustizia e vogliono ricominciare. Inoltre, contrasta la speculazione sui giornali e l’uso improprio di dati sensibili. Eppure ancora oggi non viene pienamente garantito a causa di ostacoli e limiti tecnici.
In una società dove spesso saltano i confini tra spazio pubblico e privato, lasciarsi il proprio passato alle spalle, pur ingombrante, può risultare difficoltoso. Ad esempio, una persona che ha scontato la sua pena, il cui reato commesso in passato non ha più influenza sul presente e alcun effetto sulla collettività, ha tutto il diritto di poter ricominciare, senza subire discriminazioni.
Tra l’altro, il sistema giudiziario italiano riconosce la funzione rieducativa della pena. La legge è andata oltre il concetto di rieducazione e reinserimento, introducendo il diritto all’oblio.
Che cos’è il diritto all’oblio
Per diritto all’oblio si intende una forma di garanzia che prevede la non diffusione, senza particolari motivi, di informazioni che possano compromettere l’onore di una persona. Principalmente riguarda dati sensibili, personali, informazioni sui precedenti giudiziari di una persona o sul suo passato.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
Quando nasce
Il diritto all’oblio si è evoluto in tempi recenti con l’accesso libero alle reti sociali e la circolazione massiva delle informazioni. Più un’esigenza, dunque, di fronte a casi di speculazione informativa, utilizzo improprio di dati e discriminazione.
Il diritto all’oblio ha sancito la possibilità di cancellare i contenuti online, e quindi la gestione dei propri diritti in relazione al diritto alla privacy. Ma anche, in determinati casi del giornalismo, di distinguere il sacrosanto diritto di cronaca da quello all’oblio.
Percorriamo le principali tappe in questo percorso di maturazione del diritto all’oblio:
-
20 maggio 2009 (Proposta di legge sul diritto all’oblio)
L’onorevole Carolina Lussana (Lega Nord) presenta una proposta di legge per garantire ai cittadini sottoposti a procedimenti penali il diritto all’oblio una volta trascorso un determinato lasso di tempo. I dati relativi a provvedimenti giudiziari estinti e diffusi online possono essere deindicizzati e aggiornati. Ad esempio, se una persona è stata assolta dopo un arresto, oppure ha scontato la pena, può rivendicare un aggiornamento delle informazioni disponibili in rete.
-
2003 (Decreto legislativo numero 196 – Codice Privacy)
L’articolo 7 di tale decreto dispone che ogni soggetto interessato abbia il diritto di sapere in ogni momento chi sia in possesso dei propri dati personali e quale sia l’utilizzo che intenda farne, potendo opporsi al loro trattamento. Può presentare richiesta di rimozione, rettifica o aggiornamento delle informazioni che lo riguardano.
-
2012 (La sentenza della Suprema Corte italiana)
La sentenza numero 5525 del 2012 della Corte di Cassazione accoglie il diritto all’oblio inteso come deindicizzazione dei link dai motori di ricerca, indicando linee guida. I giudici tutelano la salvaguardia dell’identità personale dalla divulgazione di “informazioni potenzialmente lesive in ragione della perdita di attualità delle stesse sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell’esplicazione e nel godimento della propria personalità”.
Dunque, un cittadino ha la possibilità di richiedere la cancellazione di notizie online (sia dati personali che foto) che richiamano la sua identità e che con il passare del tempo non risultino più coerenti con la realtà della situazione attuale della sua esistenza. Quindi, un fatto che perde di attualità.
La Corte di Cassazione ha così definito il diritto all’oblio:
“… giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.
-
13 maggio 2014 (Storica sentenza della Corte di Giustizia)
Questa è la data della storica sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. I giudici erano stati chiamati ad esprimersi sulla richiesta di rimozione di dati richiesta da un cittadino spagnolo che chiedeva la rimozione di link rintracciabili tramite motore di ricerca Google, ritenuti lesivi, che lo riguardavano e appartenenti al suo passato, non più attinenti con il presente. In parole povere che la vicenda non venisse più ricondotta al suo nome.
La Corte di Lussemburgo approva la richiesta di eliminazione dei link dal motore di ricerca e obbliga Google (in quanto riconosciuta Titolare del Trattamento dei Dati) a rimuovere i link dall’elenco dei risultati di ricerca, ottenuti digitando il nome del cittadino spagnolo. I giudici tuttavia scelgono di tutelare anche la libertà di informazione, per questo decidono che le notizie non debbano essere rimosse dal sito in cui compaiono.
Questa sentenza ha fatto da apripista verso una evoluzione del diritto all’oblio.
-
27 aprile 2016
In questa data viene adottato il regolamento generale sulla protezione dei dati (acronimo RGPD o GDPR, dall’inglese General Data Protection Regulation. Si tratta ufficialmente del regolamento (UE) numero 679 del 2016. Un regolamento dell’Unione europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy pubblicato sulla Gazzetta ufficiale Ue il 4 maggio 2016 ed entrato in vigore il 24 maggio dello stesso anno. Il GDPR diviene operativo a partire dal 25 maggio 2018.
L’articolo 17 del GDPR istituisce il diritto all’oblio non solo su internet.
Quando si può applicare
Il regolamento europeo stabilisce che un cittadino può decidere in qualunque momento di chiedere la cancellazione dei propri dati personali. Il titolare del trattamento (colui che gestisce o ha pubblicato i dati personali) ha l’obbligo di cancellare tali dati senza ingiustificato ritardo ogni qualvolta lo richiede l’interessato. Il diritto all’oblio si può applicare nelle seguenti condizioni, ovvero quando:
- i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
- l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento;
- l’interessato si oppone al trattamento;
- i dati personali sono stati trattati illecitamente;
- i dati personali devono essere cancellati per adempiere ad un obbligo giuridico;
- i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.
E la libertà di informazione?
Nel giornalismo, e nell’ambito dell’informazione, il diritto all’oblio può venir meno di fronte all’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione. Il diritto all’informazione prevale nei seguenti casi, ossia:
- per l’adempimento di un obbligo giuridico;
- per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica;
- a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici;
- per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
Come devono comportarsi i giornalisti
Il diritto all’oblio nell’informazione si applica sia ai cittadini comuni che ai personaggi pubblici coinvolti in vicende giudiziarie. Nell’esercizio dell’informazione, compresa quella diffusa sui giornali online, il giornalista deve rispettare il diritto all’oblio. Tuttavia l’equilibrio tra diritto di informazione e diritto all’oblio è molto delicato.
La Cassazione ha stabilito che le notizie devono essere integrate o aggiornate in caso di mutamento dei fatti. L’Ordine dei Giornalisti ipotizza il caso di un cittadino sottoposto a misura cautelare personale nel corso delle indagini preliminari. I giornalisti vengono a conoscenza dell’ordinanza e pubblicano l’informazione. Tuttavia, il procedimento si conclude con l’assoluzione dell’imputato. L’articolo che riproduce fedelmente la situazione giudiziaria dell’interessato al momento della pubblicazione è sempre legittimo. Siccome la realtà è cambiata e c’è stato un proscioglimento dell’accusato, in questo caso viene riconosciuto all’interessato il diritto all’integrazione e/o aggiornamento dell’informazione al fine, spiega la Suprema Corte, di “rispristinare l’ordine del sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale”.
Esempio. Un individuo che abbia commesso un reato in passato ha il pieno diritto di richiedere che quel reato non venga più divulgato dalla stampa e dagli altri canali di informazione, a condizione che il pubblico sia già stato ampiamente informato sul fatto e che sia trascorso un tempo sufficiente dall’evento, tale da far scemare il pubblico interesse all’informazione per i casi meno eclatanti. Nel momento in cui l’interesse pubblico si affievolisce, fino a scomparire del tutto, è opportuno tutelare la reputazione delle persone coinvolte nel fatto facendo prevalere il diritto alla riservatezza sul diritto di cronaca.
Nel caso, ad esempio, del reato di lesioni personali, per i protagonisti in negativo della vicenda è inizialmente giustificata dalla necessità di informare il pubblico, non lo è più dopo che la notizia sia risultata largamente acquisita. Questo diritto difende indirettamente anche le vittime, in quanto ogni volta che un caso viene rievocato finisce per pesare di riflesso su chi lo ha dolorosamente subito nel ruolo di parte lesa (si pensi al caso delle violenze sessuali).
Inoltre, il comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione ricorda che “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato” (principio della funzione rieducativa della pena). Il diritto all’oblio favorirebbe, in questo senso, il reinserimento sociale dell’accusato, il suo ritorno alla società civile.
Infine, ipotizziamo che alle elezioni risulti candidata una persona in passato condannata in via definitiva, che ha scontato la sua pena. In questo caso la notizia può essere divulgata poiché prevalgono il diritto di cronaca e l’interesse pubblico, rispettando la completezza e la verità dei fatti, ricordando al pubblico che l’interessato ha scontato la pena.
Come si esercita
Chiunque rivendichi questo diritto può chiedere al titolare del trattamento dei dati (esempio: un giornale) o al gestore del motore di ricerca (Google), di rimuovere dai risultati di ricerca i link associati al suo nominativo.
Il problema è che i tempi di Google sono mediamente molto lunghi; risponde anche dopo anni. Nel caso delle aziende pubbliche e private bisogna anche fare i conti con i limiti tecnici (assenza di esperti informatici o inefficienza) e ostacoli burocratici.
A quel punto non resta che rivolgersi al Garante Privacy (Garante per la protezione dei dati personali), istituito dalla legge numero 675 del 31 dicembre 1996. I tempi continueranno ad allungarsi.
In alternativa è possibile procedere con un ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria.