Nel lettone di mamma e papà… o no?

BAMBINO

Il bambino che durante la notte “migra” nel lettone dei genitori. Un classico… Come regolarsi? Fissare dei limiti e da che età? Ne abbiamo parlato con Alessandra Bortolotti, psicologa dello sviluppo e dell’educazione

Dormire nel lettone di mamma e papà, abitudine o necessità fisiologica? La condivisione del letto è molto diffusa sia nei primi mesi di allattamento sia quando i figli sono più grandicelli e di notte sgattaiolano nel letto di genitori. Oggi si discute molto sulla appropriatezza o meno del co-sleeping, un po’ a tutte le età. Se ne parla tra genitori ma anche in ambito medico non mancano ricerche e analisi. Recentemente uno studio pubblicato sul Infant Mental Health Journal ha dimostrato evidenza che il sonno solitario sia associato ad un attaccamento insicuro. Noi abbiamo intervistato Alessandra Bortolotti, Psicologa dello sviluppo e dell’educazione, Componente GDL Psicologia e Salute Perinatale Ordine Psicologi e Psicologhe del Lazio e Vicepresidente MAMI Movimento allattamento materno italiano.

Dottoressa, perché oggi si parla tanto di co-sleeping?

Oggi si pensa sia una nuova moda, in realtà agli inizi del Novecento era normale dormire insieme nel lettone anche perché esistevano contesti di famiglia più allargata. Attualmente in tanti paesi nel mondo si dorme insieme. Solo in una minoranza di aree non è così. Prevalentemente nelle realtà industrializzate, con delle eccezioni, ad esempio in Giappone o nei paesi scandinavi come la Svezia. Si tratta di paesi dove in generale c’è una maggiore attenzione verso i bambini.

Quali sono le implicazioni in termini fisiologici e psicologici del dormire nel lettone?

Il co-sleeping non è un’abitudine. I bambini hanno dei bisogni e delle competenze fisiologiche e una di queste è la ricerca del contatto. Il bambino ha bisogno di sicurezza e dipendenza per arrivare all’indipendenza mentre nella nostra cultura si crede il contrario. Tanti studi scientifici ci suggeriscono questi temi come norma biologica in contrasto con quella culturale del distacco forzato.

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Uno studio di epigenetica del 2008 su Brain Research rilevava sui topi un minore stress, ansia e livelli di cortisolo su modelli di accudimento prossimale rispetto a quelli con distacco. Inoltre, è stato evidenziato come determinati tipi di comportamento possano marcare il DNA dei cuccioli, i quali da adulti tenderanno a riproporre ai figli gli stessi modelli adottati dai genitori. Il tema è rilevante perché significherebbe che ci stiamo occupando non solo dei nostri figli ma indirettamente anche dei nostri nipoti.

Come si è creata questa cultura della separazione?

Le origini le ritroviamo nella diffusione di un marketing legato a nuove tendenze della società. Negli anni ’50, con l’avvento del latte artificiale e dell’industria dedicata al mercato dell’infanzia e con un nuovo ruolo della donna all’interno di moderni andamenti sociali e lavorativi di tutta la popolazione. Lo stesso mercato destinato ai bambini e ai genitori si è modificato per offrire alle famiglie soluzioni che in alcuni casi hanno favorito questa cultura del distacco.

Non solo prodotti. Ma anche metodi intesi come soluzioni: il metodo per fare la nanna o per lo svezzamento. Si tratta di soluzioni che tolgono l’empowerment al genitore portato a delegare le proprie competenze a metodi e soluzioni varie. Il risultato è un indebolimento della relazione genitore-figli.

Nella sicurezza è insito l’attaccamento e il contatto. Quindi sono arrivati a gamba tesa questi pressing commerciali che ci hanno fatto perdere delle competenze affettive. Per fortuna da molti anni la scienza sta studiando il tema della relazione neonati – genitori.

Come dormire insieme in sicurezza?

Il dibattito è aperto. È facile dire “co-sleeping”, piuttosto che “bed sharing” o “room sharing”. È necessaria maggiore informazione sulle modalità di pratica sicura. A disposizione dei genitori ci sono dispositivi o arredi offerti dal mercato che garantiscono una condivisione del letto in sicurezza, come le culle bedside. Un’alternativa sono i letti bassi stile tatami, con un grande materasso rigido.

Nel 2019 l’Academy of Breastfeeding Medicine ha stilato un protocollo sulla ccondivisione del letto e allattamento. Qui vengono identificate una serie di strategie per la riduzione al minimo di eventuali rischi derivanti dal co-sleeping del letto, tra cui una maggiore promozione e supporto dell’allattamento.

In conclusione, il confronto sulla sicurezza del sonno condiviso è molto acceso, alcuni autori sostengono che ciò che è centrale sono i fattori di rischio da comunicare e verificare chiaramente coi genitori.

Dormire da soli nel letto o in una cameretta separata da quella dei genitori, quando è il momento più opportuno?

Non esiste un momento uguale per tutti. La necessità di contatto dura tutta la vita, pensiamo ai genitori che dormono insieme. Il momento migliore è quello più adatto al bambino e a tutta la famiglia, che mette d’accordo tutti. Se il bambino non dorme tutta la notte è difficile gestire la situazione con il piccolo in un’altra stanza e può essere fonte di stress sia per i genitori che per il figlio.

Co-sleeping e rapporto di coppia vanno d’accordo?

Premettiamo che non è il bambino che divide i genitori. Anche se nei primissimi mesi lo stretto contatto del bambino è principalmente appannaggio della donna che vive in simbiosi con il neonato, entrambi i genitori condividono il co-sleeping con il bambino

Accade che il padre si sincronizzi con i ritmi del piccolo e della mamma anche rispetto al semplice respiro. Si tratta di una collaborazione spontanea che può essere di grande supporto alla madre. È fondamentale informare la coppia rispetto a questi elementi fisiologici ed è per questo che sia la madre che il padre dovrebbero partecipare ai gruppi di accompagnamento alla nascita in cui si parli di questi aspetti.