La morte di Fabio Ridolfi ha riaperto il dibattito sull’eutansia legale. Il tema è in balìa di sentenze e decisioni dei giudici (come la bocciatura del referendum per legalizzarla). Succede perché la politica non ha ancora scelto. E intanto l’Italia non ha una normativa chiara
“È più malvagio togliere la vita a chi vuole vivere, o negare la morte a chi vuole morire?”. Si interroga lo scrittore e musicista norvegese Jo Nesbø. In una serie di romanzi polizieschi il protagonista del capitolo “Il Leopardo”, l’ispettore Harry Hole, deve risolvere un caso, questa volta personale. Non un omicidio, ma quasi. Un caso enigmatico che lo porterà, questa volta, a scegliere tra la vita sofferente o l’eutanasia, ossia la morte del padre, che nel frattempo si ritrova paziente terminale in un ospedale e gli chiede di lasciarlo andare. Harry non ce la fa ma si affida all’infermiere del reparto, Sigurd Altman, che lo porterà a una riflessione:
“Non puoi svilire i tuoi sentimenti così, Harry. Cerca di scantonare il fatto che tu, come chiunque altro, sei guidato dai concetti di giusto e sbagliato. Forse il tuo intelletto non possiede tutte le argomentazioni per spiegare questi concetti, ma sono comunque radicati in te molto, ma molto profondamente. Giusto e sbagliato”.
Altman prova a dare una risposta alla domanda iniziale: cosa è più malvagio? Una risposta, personale, forse non c’è.
Il caso Fabio Ridolfi
Intanto, appena due settimane fa, il dibattito sull’eutanasia è riparto in Italia, il paese che ha al cuore lo Stato Pontificio Vaticano. Il 16 giugno 2022 è morto Fabio Ridolfi, il 46enne di Fermignano (Pesaro-Urbino), che ha scelto la revoca del “consenso alla nutrizione e alla idratazione artificiali”.
Lui ha scelto, o meglio, è stato costretto a scegliere, perché qualcuno più in alto a lui non ha ancora una volta voluto o potuto scegliere. Fabio era immobilizzato da 18 anni a letto a causa di una tetraparesi. Stava tentando con l’assistenza legale dell’Associazione Luca Coscioni l’accesso al suicidio assistito, possibile in Italia per le persone nelle sue condizioni, come indicato dalla sentenza della Corte Costituzionale Antoniani/Cappato.
“Dopo una lunghissima attesa, il 19 maggio scorso (Fabio Ridolfi, ndr) aveva ottenuto il via libera dal Comitato etico che aveva verificato la sussistenza dei requisiti ma non aveva indicato le modalità, né il farmaco che Fabio avrebbe potuto autosomministrarsi”, ricorda all’Ansa l’Associazione Luca Coscioni. “Così nei giorni scorsi Fabio ha comunicato la sua scelta, “una scelta di ripiego”, di ricorrere alla soluzione che avrebbe potuto percorrere senza aspettare il parere mai ricevuto: la sedazione profonda e continua“.
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“Fabio Ridolfi è morto senza soffrire, dopo ore di sedazione e non immediatamente come avrebbe voluto”, hanno poi spiegato Filomena Gallo e Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni. Da quattro mesi aveva chiesto l’aiuto medico al suicidio, rientrando nelle condizioni previste dalla Corte costituzionale, “ma una serie di incredibili ritardi e di boicottaggi da parte del Servizio sanitario l’hanno portato a scegliere la sedazione profonda e la sospensione dei trattamenti di sostegno vitale in corso”.
Dopo il caso Ridolfi, l’Associazione ha fatto sapere che continuerà a battersi “affinché non si ripetano simili ostruzionismi e violazioni della volontà dei malati”. “Continueremo – promettono – a fornire aiuto diretto alle persone che si rivolgeranno a noi per far valere il loro diritto di decidere sulla propria vita“.
Cosa dice la sentenza della Corte costituzionale
La sentenza numero 242 del 2019 ha messo l’Italia davanti a un bivio rispetto all’eutanasia. Infatti, i giudici del massimo organo di garanzia costituzionale, in quella data ritennero:
“non punibile, ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
La sentenza in un certo senso ha “assolto” Marco Cappato che nel febbraio 2017 aveva accompagnato Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, in una clinica svizzera per consentirgli di smettere di soffrire dopo l’incidente stradale del 2014 che lo aveva resto cieco e tetraplegico. Come atto di disobbedienza civile, Cappato al rientro si autodenunciava alla procura, focalizzando così sulla vicenda un acceso dibattito mediatico e politico.
Tra l’altro, nel suo testamento, Dj Fabo aveva già scelto il fine vita attraverso il suicidio assistito: “Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione non trovando più il senso della mia vita”.
Matteo Mainardi, coordinatore della campagna “Eutanasia legale” dell’Associazione Luca Coscioni, a margine di quella sentenza, invitava la classe politica a legiferare, finalmente.
“Con questa sentenza si è fatto un grande passo avanti nel rispetto dei diritti sul fine vita e si apre finalmente ad una buona normativa per garantire il diritto di scegliere come morire, ponendo l’accento su chi è affetto da sofferenze insopportabili e patologie incurabili”.
Il benaltrismo
Insomma, la Corte aveva servito l’assist al Parlamento che da quel 2019 non ha ancora legiferato in materia di eutanasia e suicidio assistito. Ma spesso, in questi anni segnati da crisi, guerra e pandemia, l’argomento è stato liquidato con atteggiamento di “benaltrismo”, da parte di chi elude un problema sostenendo che ce ne sono altri più gravi da affrontare”. Ora, la decisione da prendere è urgente, altrimenti si ripresenteranno nuovi casi Ridolfi, dj Fabo, Eluana Englaro o Piergiorgio Welby sui quali sarà costretta a intervenire la giurisprudenza.
La recente “bocciatura” del referendum su eutanasia legale
La Consulta è tornata protagonista proprio di recente. Nel febbraio scorso, i giudici della Corte costituzionale riuniti in camera di Consiglio hanno discusso dell’ammissibilità del referendum sull’eutanasia e hanno dichiarato inammissibile il quesito che chiede di depenalizzare l’omicidio del consenziente. Inammissibile perché, secondo i quindici giudici, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Le reazioni civili e politiche
L’argomento, tanto delicato, è in balìa delle interpretazioni giuridiche, non essendoci una norma chiara a riguardo. Ma nemmeno una posizione politica ben definita.
“Questa per noi è una brutta notizia. È una brutta notizia per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo. Una brutta notizia per la democrazia”, dichiarava Cappato dopo la decisione arrivata dalla Consulta sull’inammissibilità del referendum per l’eutanasia legale. “Sull’eutanasia proseguiremo con altri strumenti, abbiamo altri strumenti. Come con Piergiorgio Welby e Dj Fabio. Andremo avanti con disobbedienza civile, faremo ricorsi. Eutanasia legale contro eutanasia clandestina”.
Mina Welby, vedova di Piergiorgio, affidava all’agenzia Ansa il suo pensiero: “Provo tanta tristezza pensando alle persone più vulnerabili le cui richieste resteranno inascoltate. Io ero sicura che la Corte avrebbe deliberato a favore di questo referendum e sono rimasta molto delusa. Rimane l’ultima speranza del Parlamento.. Vorrei personalmente fare qualcosa per sensibilizzare al tema, non so ancora cosa”.
“Sono dispiaciuto, la bocciatura di un referendum non è mai una buona notizia”, dichiarava invece il leader della Lega, Matteo Salvini.
“La bocciatura da parte della Corte Costituzionale del referendum sull’ eutanasia legale deve ora spingere il Parlamento ad approvare la legge sul suicidio assistito, secondo le indicazioni della Corte stessa”, era la posizione del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, con parole pubblicate su Twitter.
Quella stessa mattina la Consulta ha deciso anche su altri temi non facili e che sono ancora sul binario morto dell’inerzia politica: cannabis e legge Severino (riforma della giustizia). Su quest’ultimo punto siamo appena stati chiamati a scegliere, tramite un referendum che non ha nemmeno raggiunto il quorum.
L’eutanasia in Italia
In Italia, il suicidio e il tentato suicidio non sono reato. L’eutanasia attiva è assimilabile, in generale, all’omicidio volontario (art. 575 codice penale). In caso di consenso del malato si configura la fattispecie prevista dall’articolo 579 del codice penale (Omicidio del consenziente), punito con reclusione da 6 a 15 anni. Seguendo la sentenza Cassazione Civile Sez. I n. 21748/07, il giudice, su richiesta del tutore legale e sentito un curatore speciale, può autorizzare la disattivazione dei presidi sanitari che tengano artificialmente in vita un paziente ormai in stato vegetativo (nel caso di specie, con sondino naso-gastrico), “di cui sia accertata l’irreversibilità secondo standard internazionali, e che [..] questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento” (non è richiesto che si sia espresso esplicitamente contro, ma che sia ricostruibile anche indirettamente la sua volontà contraria), purtuttavia il “non consenso deve manifestarsi nella sua più ampia, espressa e consapevole forma” (Cassazione civile, sez. III n. 23676/ 2008). Inoltre, la Consulta ha espresso un parere rispetto alla illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale (Istigazione o aiuto al suicidio), prevedendo una deroga all’applicazione dello stesso (non punibilità) in casi simili a quello posto in giudizio (Sentenza sopra citata n. 242 del 2019 della Corte costituzionale).
Solo sentenze. L’ultimo capitolo è stato quello del referendum. Il 30 giugno 2021 è stata avviata la raccolta firme, promossa dall’Associazione Luca Coscioni, per il referendum che puntava a legalizzare l’eutanasia. Il 15 febbraio 2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia. Insomma, nessuna legge, ma fine pena mai.