Un miele fresco e dal sapore unico? È questione di origine

NEONICOTINOIDI MIELE UNGHERESE

Chi ha avuto la magnifica esperienza di assaggiare un miele appena estratto da un favo, difficilmente dimentica quel sapore unico che questo alimento è in grado di assicurare quando è fresco. Con molta probabilità gran parte di chi ci legge si sarà dovuto accontentare di un prodotto artigianale messo in vasetto da poche settimane o di uno industriale di cui ignora la freschezza.

Il miele invecchia (ma non lo dice)

Eppure proprio questo aspetto, la quantità di giorni, settimane, perfino anni, che passano dalla produzione del miele al suo consumo è una caratteristica qualitativa importante. Sembrerà banale dirlo ma il dolce frutto delle api invecchia e con il passare del tempo cambia il suo sapore, gli aromi e i profumi. Difficile farsene un’idea dalla lettura delle etichette: la data di confezionamento non è obbligatoria e quella di scadenza (per essere precisi il Termine minimo di conservazione, visto che il miele non ha una scadenza obbligata) va generalmente tra i 18 e i 24 mesi da quando è stato messo nel barattolo.
Che si tratti di un’informazione importante per il consumatore, invece, è fuori di dubbio e non solo perché a variare sono gli aspetti organolettici dell’alimento. Alcuni dei cambiamenti chimici che avvengono nel miele sono perfino normati dalle leggi europee e da quelle italiane. È il caso dell’Hmf, un componente formato dalla scomposizione del fruttosio, uno dei principali zuccheri presenti nel miele. L’idrossimetilfurfurale (in sigla, appunto Hmf) è un composto organico contenente gruppi funzionali aldeidici e alcolici (idrossimetilici). Si forma a partire dagli zuccheri come un intermedio delle cosiddette reazioni di Maillard. In condizioni normali, si forma lentamente dalla scomposizione del fruttosio, ma può concentrarsi rapidamente se il miele viene riscaldato.

Limiti diversi in base all’origine

Per via di queste caratteristiche, l’Hmf è un buon indicatore per valutare la “freschezza” del miele.
Nel nettare fresco è assente e si forma nel miele in funzione della composizione dello stesso (composizione zuccherina, acidità) e dell’esposizione al calore. Non a caso la norma europea prevede un limite alla sua presenza nel miele da tavola di 40 mg/kg, mentre la norma Fao/Oms e la stessa norma europea per i mieli di origine extra Ue pone il limite a 80 mg/kg.
Limiti che, secondo la Ue, non valgono nel miele destinato a essere usato come ingrediente alimentare, ossia nel miele per uso industriale.
Dunque inequivocabilmente si tratta di un parametro adatto a valutare la freschezza dei barattoli che arrivano fino a noi.
Va anche precisato, a scanso di equivoci, che questa molecola non sembra avere alcun impatto sulla salute dei consumatori: diversi studi scientifici hanno valutato l’eventuale genotossicità dell’Hmf nel miele e non hanno trovato connessioni.

La nostra prova

Partendo da queste considerazioni, il Salvagente ha voluto fare una prova nei laboratori del Gruppo Maurizi mettendo a confronto quattro mieli diversi:

  • un miele fatto in casa di cui conoscevamo con certezza la data di produzione (settembre 2021);
  • un millefiori Ue e non Ue (proveniente da Italia, Argentina, Ungheria, Moldavia) con scadenza giugno 2024 (dunque con un Tmc più lungo di due anni);
  • un millefiori prodotto in Emilia-Romagna oltre il Tmc, il Termine minimo di conservazione (il prodotto sarebbe stato da consumare preferibilmente entro il 01/02/2021);
  • un millefiori lucano prodotto il 01/06/2020 da consumarsi preferibilmente entro il 30/6/2022, dunque non freschissimo ma con qualche mese ancora di vita a scaffale.

I risultati delle prove che abbiamo condotto li trovate nel numero in edicola del nostro giornale e offrono degli spunti interessanti di riflessione.
La cosa forse più ovvia è che il millefiori artigianale riporta un valore di idrossimetilfurfurale molto basso: sapevamo già che era fresco e conservato a temperatura non elevate, ma questi numeri ci offrono una conferma della bontà del parametro.
La miscela di miele di fiori originari e non dalla Ue, ha mostrato invece un contenuto maggiore di Hmf, pari a 56 mg/kg. Ricordiamo che si tratta di un valore conforme alla normativa perché il limite di legge per miele di origine dichiarata da regioni con clima tropicale è 80 mg/kg.
Di questo campione non sappiamo la data di confezionamento ma è presumibile che non sia molto lontana nel tempo, visto che al momento dell’acquisto il Termine minimo di conservazione era ancora di due anni e mezzo. Si potrebbe dunque ipotizzare una miscela di mieli giovani eppure il valore di Hmf è elevato. La conclusione logica è che, a causa del clima delle zone tropicali, la temperatura di stoccaggio è stata maggiore di quella subita dal prodotto italiano e che, quindi, questo tipo di miele si degradi più velocemente. Il miele italiano di millefiori già “scaduto” (con Tmc 1° febbraio 2021) ha confermato la crescita oltre misura dell’Hmf, rilevato a 84 mg/kg, ben sopra il limite di 40 mg/kg previsto dal decreto; un valore analitico confortato anche dall’aspetto che appariva solido e di colore brunastro-scuro. Infine il millefiori italiano con scadenza giugno 2022, ha un valore di Hmf pari a 35 mg/Kg, nel limite previsto dal decreto.
Alla luce dei risultati ottenuti, oltre ad avere una conferma di come il miele vada consumato entro la data consigliata, appare evidente che per avere una garanzia di qualità e freschezza del prodotto, è preferibile consumare mieli prodotti in Italia o in Europa piuttosto che in regioni del mondo dove le temperature più alte.

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