I 20 maggiori produttori di carne e latticini in Ue inquinano quasi quanto Eni

ANTIBIOTICI ALLEVAMENTI

“In un momento in cui i governi devono ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, i giganti globali della carne e dei latticini in Europa stanno aumentando le emissioni aumentando la produzione e le esportazioni”. La dura accusa arriva dall'(Institute for Agriculture and Trade Policy (Iatp), che in nuovo report ha calcolato le emissioni di 35 delle più grandi aziende produttrici di carne e prodotti lattiero-caseari con sede nell’Unione Europea, in Gran Bretagna e in Svizzera. “La maggior parte ancora non comunica le proprie emissioni di gas serra” scrive Iatp, aggiungendo: “Delle 20 aziende che abbiamo esaminato in dettaglio, solo tre (Nestlé, FrieslandCampina  e Abp) si sono impegnate a ridurre le proprie emissioni complessive da bestiame. Nessuna delle aziende da noi esaminate ha espresso l’intenzione di ridurre il numero di capi di bestiame nelle proprie filiere, da cui ha origine il 90% delle emissioni di carne e latticini”.

Le aziende italiane

L’Italia è quarta in Europa, dopo Germania, Inghilterra, e Francia, per emissioni legate agli allevamenti. Solo 20 aziende europee di carne e prodotti lattiero-caseari insieme producono l’equivalente di oltre la metà delle emissioni di Regno Unito, Francia e Italia. Le stesse emissioni totali delle stesse 20 aziende rivaleggiano con quelle dei colossi dei combustibili fossili, vicine all’intera emissione di Eni, pari a due terzi delle emissioni di Glencore e Total, oltre la metà di Chevron (55%), 42% di ExxonMobil, 44% di Shell e di BP e più delle emissioni di RWE o ConocoPhillips. Tra queste ci sono le italiane l’Inalca (carne bovina), Pini group (maiali) e il Gruppo Veronesi (Marchi Aia e Negroni), che compare tra le 5 principali aziende che emettono biossido di carbonio nell’ambito delle imprese avicole. Le loro emissioni combinate equivalgono anche al 48% del carbone consumato nell’intera UE (2018) 1 o più di 53 milioni di autovetture guidate per un anno. E se non bastasse, i dati relativi al periodo tra il 2016 e il 2018, ben 7 aziende su 10 hanno incrementato le loro emissioni.

L’assenza di dati

“Sei anni dopo l’accordo di Parigi e 18 anni dopo l’accordo di Kyoto che ha imposto ai governi di ridurre le emissioni di gas serra, i responsabili delle decisioni non dispongono ancora di dati fondamentali di base come i volumi di emissione dei maggiori produttori di carne e prodotti lattiero-caseari dell’Unione europea” conclude il report.

Il greenwashing

“In assenza di governi che istituiscano regimi normativi responsabili, le iniziative volontarie stanno proliferando. Gli obiettivi risultanti sono, nella migliore delle ipotesi, irresponsabili, privi di prove di prestazione chiare, indicatori e solide verifiche di terze parti.Nel peggiore dei casi, sono piattaforme per il greenwashing aziendale”. Il riferimento è tra le altre a Nestlé, che punta sul biogas come sorta di compensazione ritenuta insufficiente da Iatp. Gli Stati Uniti e l’Ue hanno proposto un Global Methane Pledge che fissa un taglio aggregato del 30% delle emissioni di metano entro il 2030 tra tutti i paesi disposti a farlo. “La più grande fonte di metano è l’agricoltura industriale su larga scala” spiega Iatp secondo cui le soluzioni proposte dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’Ue e gli Stati Uniti sono “politiciste” e pesantemente condizionate dagli interessi commercial: dagli additivi per mangimi ai mercati del carbonio per il metano da digestione del bestiame.

Le finte soluzione dell’Ue

In ogni caso, “Non richiedono una riduzione del numero di capi di bestiame, filiere più corte o investimenti in sistemi alimentari decentralizzati, diversificati e agroecologici – spiega il report – Abbiamo bisogno di questo tipo di cambiamento entro la fine di questo decennio. Abbiamo bisogno di tutte le mani sul ponte per trasformare sia i fondi pubblici che la politica climatica e agricola nel sostenere una transizione verso l’agroecologia. Non accadrà se Big Meat and Dairy continuerà a cooptare i governi e le narrazioni della società civile sull’agricoltura rigenerativa e l’agroecologia. Accadrà solo quando i governi si renderanno conto della nostra crisi esistenziale e inizieranno a regolamentare l’agrobusiness”

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