Perché dovremmo abbandonare da subito i cibi ultraprocessati

CIBI ULTRAPROCESSATI

Qualunque aspetto che riguardi la storia dell’uomo prevede di individuare dei cicli, le differenze che si possono osservare sono magari la loro durata, la loro incidenza sulla nostra permanenza sul pianeta Terra o i danni che possono provocare sul medio o lungo termine. In altre parole, è come essere su un ottovolante dove ogni tanto si risale lentamente per poi riscendere a rotta di collo; basta solo cambiare l’unità di misura e dai secondi considerare i millenni.

Nel caso dell’alimentazione dalla dieta cavernicola, a quella degli antichi Romani, a quella Medioevale, per arrivare in varie tappe alla dieta Mediterranea o a stili di vita paragonabili, oggi siamo quasi arrivati al culmine della salita e in cima troviamo i cibi ultraprocessati (UPF) con i loro vantaggi e svantaggi. Oramai già intravediamo la discesa rapida e il ritorno ad alimenti caratterizzati da trasformazioni meno complesse, dal minore uso di ingredienti di nuova concezione come amidi modificati, zuccheri invertiti, aromi artificiali, additivi e altro ancora; il ciclo si sta esaurendo e stiamo tornando verso abitudini alimentari già viste nel passato.

È già percepibile un ritorno a prodotti naturali e poco modificati rispetto a quanto la natura offre, all’uso sempre più ridotto di aiuti chimici e soprattutto ad alimenti in cui è facile comprendere gli ingredienti usati, il loro gusto e la possibilità in parte di riprodurli anche a casa.

Dove si nascondono i cibi ultraprocessati

Gli UPF hanno però ancora un larghissimo spazio nella nostra dieta con salse, creme, dressed sauce, biscotti, bibite o piatti pronti all’uso. Offrono più di un apparente vantaggio al consumatore: sono veloci da preparare, hanno gusti e sapori massificati e quindi generalmente accettati, costi inferiori per il loro acquisto, una innata capacità di gratificarci con sapori dolci o particolari e, non ultimo, hanno l’esoticità della novità da cui siamo sempre attratti per l’innata curiosità dell’uomo.

Ogni medaglia ha il suo rovescio e gli UPF sono oggi sotto pressione per l’evidenza scientifica sempre più forte che può portare il loro abuso. L’ultima conferma viene da uno studio che ha associato l’elevato consumo di cibi ultra processati a probabilità più elevate di sindrome metabolica e alle sue manifestazioni più comuni, come l’ipertensione, l’ipertrigliceridemia e l’HDL basso.

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Nonostante questo l’industria non rinuncia agli UPF, pensiamo alle carni ultralavorate per il massimo margine economico ottenibile da un pollo di batteria o da un manzo, ai troppi zuccheri semplici che troviamo anche in alimenti apparentemente non dolci. I bambini sono spesso in prima linea come acquirenti ideali, ma sono anche i primi a risentirne i danni a carico del proprio organismo.

Certo un panino con affettati, un wurstel fritto, una bibita ghiacciata, patatine fritte che talvolta sono lontane cugine delle classiche patate casalinghe, rappresentano una comoda via per guadagnare tempo, sentirci sazi, riassaporare gusti e fragranze che sembrano naturali perché così viene insegnato dal marketing o solo perché sono convenienti con lo scontrino che a fine spesa pesa meno sulle nostre tasche.

Attenzione però a non confondere il termine UPF con gli alimenti trasformati o industriali: avere dei pomodori in scatola permette, ad esempio, di mangiarne anche fuori stagione e conservare le scorte è da sempre un obiettivo per cui nasce la salatura, l’affumicatura o la semplice cottura degli alimenti, ma non per questo parliamo di UPF.

Diverso il discorso se la materia prima di base è “povera” e quindi offre poco margine economico alla filiera e si supplisce arricchendola di ingredienti superflui, di additivi magari non necessari, ma il cui costo ridotto amplifica il margine economico di un prodotto finito ultra processato giustificando il maggiore esborso per il consumatore.

Metaforicamente se una bibita gasata e iperzuccherata assicura forti guadagni al produttore per i suoi volumi di vendita, basta aggiungere un aroma o un ingrediente di basso costo che si quadruplica il prezzo al dettaglio e si amplifica il margine di guadagno iniziale.

Come riconosco un alimento UPF?

Basterebbe avere come sensore una nonna a casa e se non riesce a riconoscere tutti gli ingredienti che sono serviti per fare un biscotto o una crema ecco che dobbiamo sospettare di essere di fronte a un UPF.

Ricordiamo che gli ingredienti definiti di origine naturale come sieroproteine, amidi modificati, grassi idrogenati etc. sono un simulacro della materia prima di partenza, di certo capaci di svolgere anche meglio delle funzioni tecnologiche o sensoriali rispetto ai prodotti più semplici, ma hanno subito già una loro trasformazione per poi diventare ingredienti dell’etichetta di un UPF.

Se la nonna è impegnata, ci possiamo aiutare con la lettura dell’etichetta alimentare, parole semplici per ingredienti semplici come burro, grasso di….., uova, farina di grano tenero, etc. ci tranquillizzano mentre trovare parole complesse o un elenco di sigle con lettere e numeri dovrebbe farci pensare prima di acquistare.

Se non vogliamo leggere, ricordiamo la regola aurea che di solito ciò che più piace o che il marketing fa piacere in maniera martellante come snack vari, patatine, bibite ultrazuccherate, alimenti molto conservabili, molto appetibili etc. è proprio quanto di più probabile sia un prodotto UPF con le conseguenze che ne comporta il suo abuso.

Il circolo vizioso

Le tecnologie alimentari consentono oggi di gustare, di conservare e di avere prodotti salubri e sicuri quanto più fa comodo, ma gli UPF sono una forma parossistica di trasformazione delle materie prime che non dà sempre risultati vantaggi a chi li sceglie o addirittura ne abusa.

Citando Thomas Eliot “Ciò che diciamo principio spesso è la fine, e finire è cominciare” per cui possiamo dire che stiamo per imboccare la discesa di quell’ottovolante su cui siamo seduti e stiamo ricercando prodotti naturali e sicuri ricordandoci che le due parole non sono interscambiabili, cerchiamo prodotti trasformati per la convenienza del consumatore in primis evitando di alimentare il circolo vizioso del nutrirsi male, ammalarsi, curarsi e guarire con sacrifici dal punto di vista sociale e ludico che deriverebbero da dovere sottostare a piani dieto-terapici molto stringenti.

Il “finis lectionis” forse più importante e più lungimirante è quello di valutare positivamente l’abbandono dei Junk Food, degli UPF etc. da subito specie per le prossime generazioni dei giovani consumatori.