Pesticidi vietati dall’Unione europea all’interno dei propri confini, per tutelare la sicurezza e la salute dei  consumatori, ma di libera produzione nei paesi comunitari. E soprattutto legalmente esportabili in paesi extracomunitari. È questo il velo di ipocrisia che ha squarciato Le Monde ieri, mettendo in luce – sono le stesse parole del giornale francese – un business di cui l’Europa non si vanta. E, aggiungiamo noi, avrebbe volentieri tenuto nascosto sotto il tappeto.
La ricostruzione del quotidiano transalpino è documentata e impressionante: ogni anno l’Unione Europea autorizza, nella massima opacità , i big dell’agrochimica a continuare a produrre ed esportare tonnellate di pesticidi di cui vieta l’uso al suo interno a causa della loro altissima tossicità e i rischi che comportano per la salute e l’ambiente. Per l’esattezza più di 80mila tonnellate di veleni solo nel 2018.
Un business da tenere segreto
I documenti di Swiss Public Eye e di Greenpeace britannica, a cui Le Monde ha avuto accesso accesso, rivelano che si tratta di sostanze vietate anche da più di dieci anni sul suolo europeo, Mentre il Regno Unito è il principale esportatore in volume, la Francia è il paese che esporta il maggior numero di diverse sostanze proibite (diciotto).
In totale sono 41 le molecole vietate da noi ma tranquillamente vendibili in paesi con regole meno stringenti. Un “segreto commerciale”, quello svelato dalle due associazioni, che dimostra chiaramente come per la cara e vecchia Europa esistano cittadini a cui assicurare la salute e mercati di fronte ai quali si possono chiudere entrambi gli occhi in nome degli affari.
Il fiore all’occhiello dei veleni “made in Europe”
Il fiore all’occhiello di questi prodotti ultra tossici “made in Europe”, è il famigerato paraquat della Syngenta. Commercializzato dal 1962, questo erbicida ampiamente utilizzato nelle monocolture di mais, soia e cotone è stato bandito nell’Ue dal 2007, a causa del rischio di avvelenamento mortale per gli agricoltori. Evidentemente non per quelli di Brasile, Ucraina, Marocco, Messico e Sud Africa, visto che a loro va gran parte di quello prodotto nello stabilimento di Huddersfield, in Inghilterra. Con il placet di autorità locali e comunitarie.
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E l’Italia fa la sua parte
Ma molti altri vogliono anche un pezzo di questa torta velenosa, spiega il report delle due Ong. Nel 2018, circa 30 aziende hanno esportato sostanze proibite dall’UE, compresi i due gruppi tedeschi Bayer e BASF. E compresa l’italiana Finchimica .
Il secondo pesticida vietato in tutta l’UE e più frequentemente esportato è il dicloropropene (1,3-D), utilizzato per combattere i nematodi nella coltivazione di ortaggi. Anche in questo caso la Ue ne aveva vietato l’utilizzo nel 2007 perché rappresenta una minaccia per la salute umana, nonché per gli uccelli, i mammiferi e gli organismi acquatici.
Tuttavia, nel 2018 sono state presentate nell’UE richieste di esportazione per un totale di 15.000 tonnellate di dicloropropene. In alcuni casi, la sostanza è stata miscelata con cloropicrina, un altro pesticida vietato che è stato utilizzato come arma chimica durante la prima guerra mondiale.
L’elenco sarebbe davvero lungo ma la realtà che emerge da questo quadro è di una semplicità disarmante: di fronte ai soldi la salute pubblica vale meno di zero. Specie se si tratta di quella di chi vive al di là del nostro giardino.
Tranne poi scoprire che i veleni che cacciamo dalla porta possono rientrare dalle nostre finestre attraverso le importazioni di cibi contaminati. Un circolo perverso che conosciamo da decenni…