Che fine fa l’organico che differenziamo? Dipende, c’è una parte d’Italia che non sa che farci

Durante l’emergenza sanitaria causata dal coronavirus, tra i servizi che non si sono mai fermati e hanno garantito continuità c’è stata la raccolta dei rifiuti organici. In Italia, il settore del biowaste conta su 7,1 milioni di tonnellate l’anno di materiale organico, che equivale a dire 117 chilogrammi raccolti per persona. La regione con il maggior quantitativo di raccolta è la Lombardia, dove si arriva a circa 1,3 milioni di tonnellate. In generale, dal trattamento di questi rifiuti sono state ottenute 2,4 milioni di tonnellate di compost e 312 milioni di normal metro cubo (unità di misura del volume usato per i gas) corrispondenti a una produzione energetica di 664.000 Mwh. Questi sono i dati diffusi dal Consorzio italiano compostatori (Cic), il quale sottolinea allo stesso tempo la cronica mancanza di impianti al Centro e al Sud Italia.
Nelle 7,1 milioni di tonnellate di rifiuti organici troviamo in particolare scarti di cibo (umido), matrici organiche provenienti dalla raccolta differenziata (ad esempio i fazzoletti) e gli sfalci di prati e piante.

Italia a due velocità

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Cosa non va nella raccolta differenziata dell’organico? Semplice, per il Cic non ci sono abbastanza impianti di lavorazione. In Italia il riciclo dei rifiuti organici è affidato a 339 impianti di trattamento biologico: 281 sono impianti di compostaggio, 58 sono gli impianti integrati di digestione anaerobica e compostaggio. Cosa cambia? I primi producono compost prevalentemente destinato all’agricoltura e al florovivaismo, mente i secondi, oltre a produrre compost tradizionale, producono anche biogas. Se i primi crescono in modo contenuto, i flussi gestiti dai secondi sono pressoché raddoppiati.
Dei 281 impianti di compostaggio 173 sono dislocati al Nord, 46 al Centro e 62 nel Sud e nelle Isole. Dei 58 impianti integrati, invece, la disparità è notevole: 47 si trovano al Nord, mentre se ne contano solo 4 al Centro e 7 tra Sud e Isole. “La concentrazione geografica degli impianti soprattutto nel Nord Italia rappresenta una criticità del sistema, uno squilibrio che finora ha retto perché l’Italia non è mai andata in emergenza per questa tipologia di rifiuti, ma che costringe il Centro e il Sud Italia a trasferire i propri rifiuti organici in altre regioni, con enorme diseconomicità del sistema”, spiega Massimo Centemero, direttore del Cic. “Oltre il 35% del deficit nazionale a regime si concentra tra Lazio, Campania, Sicilia e Puglia. Nella prospettiva di una gestione regionale del rifiuto raccolto, il deficit a regime delle regioni del Centro-Sud è drammatico: oltre il 700% in Campania, quasi 500% nel Lazio, 200% in Sicilia e Marche”.

Casi virtuosi

Ma perché mancano impianti? Una risposta unica non c’è. Ma Centemero punta il dito in particolare contro le opposizioni dei comitati territoriali (richiamando la logica Nimby, ovvero Not in my backyard, non nel mio giardino) e le lentezze burocratiche. Elementi confermati anche da chi nel Sud è diventato un esempio virtuoso in fatto di compostaggio. Parliamo di Progeva, impianto di Laterza, provincia di Taranto. Inaugurato nel 2006, l’impianto è stato autorizzato a trattare 70.000 tonnellate di frazione organica all’anno, da cui produce un “ammendante compostato misto”, ossia un fertilizzante ottenuto attraverso un processo di trasformazione e stabilizzazione controllata. Lella Miccolis, amministratore unico di Progeva Srl, è diventata membro del consiglio di amministrazione del Cic: “C’è sempre stata diffidenza nei confronti dei proponenti di questo tipo di impianti” racconta Miccolis. “Paura degli odori prodotti, dell’impatto sul territorio, del tipo di rifiuto trattato, di possibili incendi, di eventuali infiltrazioni nel terreno: sono tanti i timori avanzati da chi si oppone”. In tempi di Covid l’impianto ha ricevuto una deroga a trattare il 10% in più dei rifiuti, rifiuti che in generale provengono dalla regione pugliese, ma anche da Campania e Basilicata. “Nonostante la popolazione del Sud produca più rifiuto organico del Nord, non siamo in grado di trattare l’intera quantità. Ci vuole maggiore capacità di trattamento” conclude la dottoressa Miccolis.