Un iPhone X 256 GB a 419 euro, contro i 1.359 di listino, è un boccone troppo ghiotto per farselo sfuggire. E così quattro studenti universitari decidono di mettere subito alla prova il proprio fiuto per gli affari e cogliere al volo l’offerta on line, anche sulla scia del successo di una loro collega, che con la cugina era riuscita a portare a casa ben due smartphone.
Sul sito www.tekkami.it scelgono il modello e poi vanno a leggere termini e condizioni di vendita. Scoprono che c’è una differenza tra acquisto immediato e prenotazione del prodotto. Addentrandosi nelle molteplici clausole capiscono che quello pubblicizzato è il prezzo prenotazione, con il quale ci si inserisce in un gruppo d’acquisto, di cui si conoscerà la lista solo dopo aver effettuato il relativo bonifico e la registrazione. Come recita l’esempio riassuntivo riportato sul sito, se si ha la pazienza di leggere fino alla fine, si scopre che su 9 utenti desiderosi di acquistare l’iPhone, 3 lo pagheranno al prezzo scontato reclamizzato, altri 6 lo pagheranno circa 1.000 euro: “Per noi questo è il punto di partenza del B&S 2.0”, recita Tekkami. E quello di Tekkami è solo uno dei tanti buy & share che si possono trovare in rete. Per i non addetti ai lavori, il B&S è l’evoluzione di uno dei più classici schemi Ponzi o piramidali.
La scalata sdrucciolevole
Ma che cos’è in pratica il sistema piramidale? Quello in cui i promotori invitano nuovi aderenti a versare delle somme di denaro iniziali a titolo di prenotazione, quota di accesso o acquisto, denaro che va ad arricchire le tasche dei promotori, mentre gli ultimi arrivati devono cercare continuamente ulteriori acquirenti.
Il buy & share è una pratica ammessa? La risposta non è così semplice. Com’è noto, la legge 173 del 2005 sanziona penalmente catene in cui c’è un incentivo economico a fronte di mero reclutamento, vendita o promozione di beni o servizi se questo è lo scopo primario della catena. Poi però, con il successivo decreto legislativo 146 del 2007 (art. 5) viene esclusa la rilevanza penale della condotta posta in essere nei rapporti di consumo tra professionista e consumatore, quale appunto è quella che si instaura tra i siti di B&S (in questo caso il professionista) e gli acquirenti. “Con questo decreto legislativo”, afferma l’avvocato Emmanuela Bertucci, consulente dell’associazione dei consumatori Aduc, da noi interpellata per dipanare la questione, “tali pratiche possono essere considerate commercialmente scorrette ma non anche reato”. L’articolo 23, comma 1, lettera p, del suddetto Dlgs recita infatti che “sono considerate in ogni caso ingannevoli le pratiche commerciali atte ad avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti”. “In poche parole, – spiega l’avvocato – l’art. 5 del suddetto decreto afferma che non sono considerabili reato tali pratiche commerciali se sono inserite in un rapporto di consumo tra professionista e consumatore”.
Perché ci cascano in tanti?
Il sistema funziona all’inizio, ovvero in fase di reclutamento, in quanto c’è un flusso costante di nuovi acquirenti e quindi di denaro. I primi acquirenti riescono veramente ad accaparrarsi il prodotto al prezzo scontatissimo, ma quando il flusso rallenta, gli ultimi non hanno più nessuno su cui “scaricare” parte del prezzo di acquisto reale e quindi o continuano ad aspettare oppure rinunciano, perdendo quanto già versato, o acquistando a prezzo pieno. “Ciò su cui bisogna stare molto attenti è il diritto di recesso – spiega ancora l’avvocato Bertucci – È su questo aspetto che, come Aduc, abbiamo presentato i nostri esposti. Queste società tendono a scorporare artificiosamente il diritto di recesso, dividendolo in una fase iniziale, quando si effettua il pagamento con 14 giorni a disposizione per rinunciare, e in una fase successiva, quando si entra in possesso dell’oggetto”. In un normale rapporto contrattuale, la fase dell’acquisto e della disponibilità dell’oggetto sono ravvicinati, quasi equivalenti, e il diritto di recesso può essere esercitato in qualsiasi momento fino a 14 giorni dopo la consegna del bene. In questo tipo di vendita invece, non si sa quando si avvererà la disponibilità del bene, perché non si conosce il momento in cui la lista di prenotazione sarà completa. “Superati i quattordici giorni dal pagamento quindi – prosegue Bertucci – il cliente può trovarsi ad essere ancora in attesa e non avere più il diritto di recesso. A questo punto deve aspettare all’infinito oppure pagare il prezzo pieno che il sito indica, e che solitamente è maggiorato rispetto al mercato”. Va chiarito che, se si completa l’acquisto e poi si vuole recedere all’arrivo della merce, ci si vedrà restituire solo l’80%, come previsto dalle clausole che si sono accettate. “Tutto ciò a mio avviso è totalmente fuori dal codice del consumo – aggiunge il legale – e accolla il rischio totale di impresa al consumatore. Non ci sarà mai un momento in cui il venditore ha una perdita, che verrà sempre finanziata dai vari acquirenti”.
Ma la colpa è anche dei consumatori. E non solo perché sono incauti o ingenui, ma perché essi stessi sfruttano questo sistema per facili guadagni. Molti infatti, acquistano i prodotti scontati con l’intenzione di rivenderli. Altri, non solo non denunciano, ma non pubblicano recensioni negative di questi siti, altrimenti non si accoderebbero nuovi clienti, a loro necessari per potersi accaparrare il prodotto al prezzo scontato.
Lo stesso legale fa notare come, per la prima volta, si sia trovata “ad avere contro gli stessi consumatori, perché nel momento in cui si opera all’interno di un meccanismo piramidale, l’interesse del singolo è tirarsi fuori, facendo entrare altri, e tutto questo spiega anche il perché di tanti commenti positivi sui siti da parte dei consumatori”.
L’intervento dell’Antitrust
Soddisfazione viene espressa perciò dall’avvocato Bertucci per il provvedimento preso lo scorso 1° ottobre dall’Antitrust nei confronti di uno di questi siti, Girada.it: “L’Autorità ha aperto un nuovo procedimento a carico del sito di buy & share poiché non ha ottemperato agli impegni presi, come risulta dalle tante segnalazioni che continuano ad arrivare. L’Antitrust infatti, mesi fa, non aveva emesso un provvedimento sanzionatorio nei confronti della società, accogliendo l’impegno della stessa ad adeguarsi ad obblighi di trasparenza verso i clienti nel dettagliare il sito, e spiegare come funzionasse il servizio. Ora ha dimostrato di voler andare a fondo della questione”.
“L’unica vera difesa per il consumatore è cercare di comprendere il meccanismo dell’offerta, leggere con attenzione e rendersi conto del rischio a cui si va incontro” spiega il dottor Giuseppe D’Orta, consulente finanziario. “Dopo aver versato l’acconto – sottolinea – è molto difficile recuperare i soldi, anche perché queste società hanno vita breve, al massimo due anni, e anche nel momento in cui si intenta una causa, i tempi della giustizia sono tali che la società sparisce prima che si arrivi alla sentenza. Se nel caso degli apparecchi elettronici la cifra versata dal singolo è più contenuta, ora sui social imperversano vere truffe finanziarie con le quali vengono chiesti investimenti ben più consistenti e i danni sono dunque maggiori”.