“Quando non ci sarò più, continuate a difendere la verità . Realtà come la Monsanto, non sono aziende ma operatori di morte”. È stato questo il testamento politico di Fabià n Tomasi, 53 anni, simbolo della battaglia contro il glifosato, morto in Argentina il 7 settembre scorso. Affetto da anni da una grave patologia tumorale contratta proprio a causa del suo lavoro che lo ha portato a stretto contatto con pesticidi come il RoundUp della Monsanto, l’erbicida più usato al mondo e sospettato dalla Iarc di essere cancerogeno, Fabià n ha dedicato la sua vita a sensibilizzare i cittadini, agricoltori, consumatori sui danni dei fitofarmaci, sopratutto sul glifosato ampiamente utilizzato in Argentina visto che sono circa 300.000 le tonnellate all’anno irrorate, anche per via area, nei terreni coltivati a soia Ogm.
Alcuni mesi prima di morire, l’ex operaio agricolo aveva dichiarato alla France-Presse che la molecola della Monsanto era “una trappola che ci è stata consegnata da persone molto potenti”. “Queste sostanze – ricorda le parole di Tomasi Le Monde – ti colpiscano, può richiedere mezz’ora, come tre anni. Non dipende dal tempo, ma dal contatto con sostanze progettate per uccidere“.
Pesticidi irrorati dagli aerei
Fabià n viveva a Basavilbaso, provincia argentina di Entre Rios, e ha 23 anni iniziò a lavorare per una fattoria nella regione. In particolare era responsabile di riempire i serbatoi degli aerei con erbicidi, impiegato nelle coltivazioni di soia Ogm che negli anni avevano soppiantato i tradizionali allevamenti di bestiame. All’inizio della sua attività Fabià n non sapeva con cosa andava a rimpiere questi serbatoi ma dentro c’era glifosato, Tordon, propanil, endosulfan, cipermetrina, 2-4D, metamidofos, clorpirifos, coadiuvanti, fungicidi, Gramoxone e via elencando.
Gli effetti di queste sostanze sulla sua salute e su quella di parenti e colleghi di lavoro purtroppo non tardano a manifestarsi. Nel 2014, suo fratello Roberto, che vive anche sotto l’irrorazione di aerei, muore di cancro al fegato, dopo settimane di agonia. Nella sua regione, il numero di tumori è quasi tre volte superiore a quello registrate nelle città . Così, Fabià n Tomasi decide di parlare e inizia una lotta per riconoscere il legame tra la sua malattia e il suo lavoro.
“Non siamo ambientalisti, ma lavoratori”
Ben presto, la battaglia di Tomasi valica i confini del paese e della sua regione. Il lavoratore agricolo posa davanti all’obiettivo di fotografi dalla stampa internazionale: “Non siamo ambientalisti, siamo colpiti da un sistema di produzione che si preoccupa di più di riempire le tasche di alcuni che della salute delle persone”, ha detto Fabian Tomasi, regolarmente invitato a riunioni per spiegare gli effetti dei pesticidi sulla salute umana.
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A metà agosto, Fabian Tomasi, ha commentato cossì la condanna americana a Monsanto a favore del giardiniere statunitense Dewayne Lee Johnson anch’esso vittima del glifosato: “Non ho bisogno di soldi per il momento. Ho bisogno di vita. Non sono aziende, sono operatori di morte. (…) Quando me ne sarò andato, continuate a difendere la verità “.