La Guardia di Finanza ha sequestrato 240mila chili di pellet nocivo. In particolare le analisi effettuate sul materiale sequestrato presso un esercizio commerciale del biellese hanno evidenziato massicce percentuali di collanti e di vernici (formaldeide). La formaldeide è una sostanza nociva per la salute e, secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) vi è sufficiente evidenza che sia cancerogena per l’uomo, in particolare, la prolungata esposizione alla sostanza può causare il neoplasie dell’apparato respiratorio e leucemia. Tale sostanza chimica è largamente utilizzata nel settore del legno da arredo, per cui è incompatibile con la certificazione europea di qualità En-plus specifica per la produzione di pellet, in quanto esclude l’impiego, quali materie prime, di legno da demolizione e di legno trattato chimicamente, prevedendo unicamente l’utilizzo di materia prima vergine e non contaminata.
Ritorna, così, come ogni anno la preoccupazione dei consumatori di portarsi a casa un pellet che non risponde a quanto dichiarato, meno efficiente o addirittura pericoloso. Vediamo di ricapitolare, allora le regole che possono darci qualche garanzia.
LE REGOLE PER UN ACQUISTO SICURO
Il consiglio è di optare, se possibile, per prodotti certificati. Le certificazioni che possiamo trovare sono la tedesca Din e Din Plus, l’austriaca Önorm, la svizzera SN 166000 e il marchio europeo ENPlus.
“La nostra associazione promuove unicamente l’ENPlus che considera non solo la qualità del prodotto, ma anche la tracciabilità e il ciclo di vita del pellet”, spiegava Annalisa Paniz di Aiel, l’Associazione italiana energia dal legno a Giulio Meneghello per una pubblicata dal Salvagente.
Questa certificazione divide i prodotti in 3 categorie: A1 per il pellet più pregiato; una seconda, detta A2: una terza, la B, per il pellet più scadente, adatto solo a esser bruciato per usi industriali.
Per essere sicuri che il pellet sia davvero certificato non basta il marchio: deve sempre essere accompagnato da un numero identificativo dell’azienda. Questo numero è formato da due lettere che indicano il paese di provenienza (es. IT per Italia) e da tre cifre: sul sito di ENPlus si può verificare che il codice corrisponda al produttore o all’importatore in etichetta.
Molto pellet in commercio però non è certificato, anche perché circa l’80% di quello sul mercato italiano è di importazione, in parte anche da paesi extraeuropei. In questo caso è bene verificare che ci siano almeno il nome e riferimenti del produttore o dell’azienda responsabile della commercializzazione.
COSA CERCARE IN ETICHETTA
Informazioni utili – come residuo di ceneri, potere calorifico e contenuto idrico – ci vengono poi dall’etichetta. Il parametro più importante è il residuo di ceneri: inferiore all’1,5% è accettabile, ma è ancora migliore se sta sotto allo 0,7%.
Il potere calorifico in etichetta ha invece una rilevanza relativa: “Diversi produttori indicano valori fuorvianti, scrivendo il potere calorifico allo stato anidro: possiamo trovare sulle etichette valori tipo 5,3 kWh/kg. In realtà il potere calorifico reale del pellet è attorno ai 4,7-4,8 kWh/kg, ossia circa 16 MegaJoule. Cifre più alte sono false: il potere calorifico non può essere considerato allo stato anidro ma va misurato per quello specifico pellet con il suo contenuto idrico, mediamente del 6-8%”, spiega la Paniz.
Anche la materia prima non è determinante per capire la qualità, fatto salvo che il pellet per legge deve essere di legno vergine che ha subito unicamente trattamenti di tipo meccanico (dunque, niente scarti di falegnameria verniciati o incollati).
La specie legnosa – spiega l’esperta – conta fino a un certo punto. “Anche se certe specie possono essere particolarmente difficili, va detto che non si trova pellet di castagno o di quercia puro, ma sempre mischiato ad altre specie, ad esempio faggio o abete”.
QUALITA’ VISIBILE?
La qualità del pellet si può capire con una semplice ispezione visiva? La nota distinzione tra pellet chiaro e pellet scuro, scopriamo, “non ha fondamento: può dipendere dal tipo di essiccatoio, quello a tamburo tende a tostare leggermente il pellet, dandogli un colore più scuro. Il pellet deve essere compatto. Perciò, dice l’esperta, la cosa importante è prendere in mano il sacco e vedere quanti residui di pellet sbriciolato ci sono: molti residui indicano un prodotto di scarsa qualità che ha subito lunghi spostamenti”.
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