La vendita di prodotti confezionati scaduti non configura, di per sé, “commercio di sostanze alimentari nocive”, reato previsto dagli articoli 444 e 452 del codice penale, in quanto si deve dimostrare la pericolosità per la salute pubblica dei cibi venduti.
Questo principio è stato ribadito dalla sentenza (n. 16108 del 23 marzo 2018) della Corte di Cassazione (IV sezione penale) all’esito del processo nei confronti del titolare di una farmacia, imputato per avere venduto del latte in polvere per lattanti scaduto: il bambino al quale era stato somministrato il prodotto era poi finito al pronto soccorso per sospetta intossicazione alimentare.
Condannato in primo grado, il farmacista è stato poi assolto in appello. Il caso tuttavia è approdato in Cassazione che, con la sentenza del marzo scorso, ha sancito, tra l’altro, che se non è provata l’insorgenza della patologia legata all’assunzione del cibo scaduto, non sussiste reato penale ma il venditore commette “soltanto” un illecito amministrativo e come tale va punito.