Di fronte al dolore siamo più deboli. E la promessa di farci star meglio può indurci ad abbassare le difese. E subire le conseguenze di un trattamento sbagliato, fatto da mani inesperte, è davvero facile. Almeno quando parliamo di fisioterapia, dato che in Italia esistono 60.000 fisioterapisti abilitati e ben 100.000 abusivi.
Dati impressionanti, emersi proprio oggi 8 settembre in occasione della giornata mondiale della fisioterapia.
Andiamo con ordine: cosa si intende davvero per fisioterapia? La definizione estrapolata dal Decreto del Ministero della Sanità del 1994 è che si tratta di tutti quegli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici.
Quella del fisioterapista è una professione sanitaria alla quale si accede solo a seguito di una laurea in fisioterapia o un titolo equipollente. Non un lavoro che si può iniziare dopo aver seguito un “corso di formazione” come quelli pubblicizzati su siti, locandine e volantini. Anche le prestazioni fisioterapiche più comuni presuppongono delle conoscenze scientifiche che non si possono certo ridurre a qualche ora di corso. Basti pensare che parliamo di laserterapia antalgica, elettroterapia antalgica, ultrasuonoterapia e mesoterapia. E le cronache ci insegnano quante persone ci abbiano rimesso la salute (se non la pelle) per essersi affidati a mani inesperte e incompetenti.
Risale al 2011 il lancio da parte del ministero della Salute e dell’AIFI (Associazione italiana fisioterapisti) delle tre regole d’oro per contrastare questo fenomeno:
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1) verificare che il titolo di laurea sia stato rilasciato dall’Università Italiana e, in caso di titolo estero, che abbia ottenuto il riconoscimento dal Ministero della Salute;
2) verificare se, durante la visita fisioterapica, è richiesta la visione della documentazione clinica esistente;
3) chiedere sempre il rilascio della corrispondente ricevuta fiscale.
Diffidare, dunque, di chi non richiede o non vuole prendere visione di referti medici ed esami strumentali (raggi, risonanze, ecografie, TAC) e di chi non rilascia regolare fattura fiscale sanitaria – esente IVA per legge anche in assenza di prescrizione medica.
Inoltre è bene sapere che il titolo di studio deve essere sempre esposto nell’ambulatorio, che se il professionista è registrato presso la corrispondente ASL territoriale è preferibile (anche se non indispensabile perché la legge permette di esercitare anche senza tale registrazione) e che se è un professionista privato deve avere obbligatoriamente una partita IVA e deve essere in regola con il sistema di aggiornamento professionale prescritto dalla legge (ECM – Educazione continua in medicina).