Una rete idrica vecchia e pochi soldi da investire per migliorarla. E’ questo il dato che emerge dall’edizione 2017 di Blue Book, lo studio sui dati del servizio idrico promosso da Utilitalia, realizzato dalla Fondazione Utilitatis con il contributo della Cassa depositi e prestiti. Le reti presentano, infatti, un elevato grado di vetustà, tanto che il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani). Ci sarebbe bisogno di un piano di investimenti corposo per ammodernare il sistema. Si stima che servirebbero 80 euro ad abitante all’anno mentre i soldi programmati nel primo periodo regolatorio (2014-2017), si attestano su un valore medio nazionale di circa 32 euro per abitante all’anno.
Tariffe tra le più basse
Eppure l’Italia resta ancora uno dei paesi con livelli tariffari più bassi. Nei confronti internazionali riportati nel Blue Book, lo stesso metro cubo di acqua che a Berlino costa 6,03 dollari, ad Oslo 5,06 dollari, a Parigi 3,91 e a Londra 3,66 dollari, a Roma si paga soltanto 1 dollaro e 35 centesimi. Nel livello tariffario idrico l’Italia è seconda soltanto ad Atene e a Mosca.
E l’Europa ci multa
Alla vetustà delle reti e alla necessità di investimenti sugli acquedotti per limitare le perdite, si collega l’argomento prioritario: il fabbisogno di investimenti sulla “depurazione delle acque reflue”. Circa l’11% dei cittadini, infatti, non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione. La conseguenza – oltre ad incalcolabili danni per l’ambiente e la qualità delle acque marine e di superficie – è nelle sanzioni europee comminate all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque.
I dettagli sono nel capitolo 5 del Blue Book, che fa riferimento ai tre contenziosi che la Commissione UE ha avviato nei confronti dell’Italia, per mancati adempimenti alla direttiva 91/271/UE. Due condanne da parte della Corte di Giustizia Europea (la C565-10 e la C85-13) e l’avvio di una nuova procedura di infrazione (Procedura 2014-2059).
Complessivamente – con gravità diverse e relative sanzioni differenziate – sono colpiti 931 agglomerati urbani (80 per la condanna a C565-10, 34 agglomerati per la C85-13 e 817 per la procedura d’infrazione), la maggior parte dei quali sono concentrati nel Mezzogiorno e nelle Isole e si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali.
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