L’ultimo allarme arriva dal Rasff (il sistema di allerta rapido europeo) di questa mattina: l’Italia ha segnalato la presenza di mercurio sopra i limiti di legge (1.35 mg/kg ) in una partita di pesce spada scongelato (Xiphias gladius) proveniente dalla Spagna.
Un problema ricorrente come testimoniano i risultati delle nostre analisi pubblicati sul nuovo numero in edicola di Test-Salvagente di questo mese: su 8 campioni di spada ben 3 sono risultati avere concentrazioni elevate di mercurio molto vicini al limite di legge fissato in 1 mg/kg.
Perché è cosi importante tenere sotto controllo il mercurio? In base ai dati scientifici si stima che nei prodotti ittici circa il 90-99% del mercurio si trova sotto forma di metilmercurio, la forma più tossica e legata all’azione di alcuni microrganismi acquatici. Il metilmercurio si accumula soprattutto nei globuli rossi e ha quindi una grande facilità di arrivare ai diversi organi del corpo, come la ghiandola mammaria per poi “migrare” nel latte materno.
Non è così raro riportare i sintomi dell’intossicazione da mercurio dopo aver mangiato un trancio di spada o tonno: emicrania, spossatezza, difficoltà nel linguaggio fino allo svenimento. Al mercurio tuttavia sono attribuite attività tossicologiche ben più gravi. Basti pensare che è in grado di superare la placenta e compromettere lo sviluppo del feto. Per questo l’Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, nel tempo ne ha ridotto la dose settimanale tollerabile e consiglia a donne incinte e bambini di evitare di mangiare pesci predatori – spada, tonno e squaloidi come la verdesca – mentre per gli adulti il consiglio è di non oltrepassare una porzione a settimana.
Un grande “accumulatore” di metalli
Perchè lo spada è più esposto al rischio mercurio? Chiariamo che non è il solo. I grandi pesci predatori (spada, tonno e squloidi) si comportano come delle batterie. Nutrendosi delle specie sottostanti rispetto alla catena alimentare, accumulano nei tessuti grandi quantità di inquinanti: mercurio, metilmercurio, diossine e quant’altro. Questo processo si chiama biomagnificazione: più i pesci sono di taglia grande, più sono adulti e più sono al vertice della catena alimentare ittica e più accumulano inquinanti. Per questo il loro consumo andrebbe ridotto e preferita la scelta di pesci di taglia più piccola, spesso più ricchi anche di Omega 3.