Controlli pilotati, ispezioni concordate al telefono, utilizzo di latte non conforme fatto passare per Dop. E poi prelievi con date alterate. Il tutto reso possibile dal conflitto di interesse che legava in modo incestuoso i controllati – i caseifici e gli allevatori della filiera della mozzarella di bufala campana Dop – ai controllori, l’ente di certificazione Csqa. Un conflitto di interessi nel quale, secondo l’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, alcuni dirigenti dell’Icqrf, l’Ispettorato repressione e frodi del ministero delle Politiche agricole (Mipaaf), invece di reprimere le frodi e tutelare il consumatore avrebbero giocato la partita in una parte precisa del campo. Non certo in quella di chi era convinto di portare in tavola un prodotto certificato.
Un secondo filone di indagine
È questo il quadro che emerge a conclusione delle indagini svolte dal pm Giuliana Giuliani, coadiuvata dal Corpo Forestale dello Stato, sui controlli “addomesticati” lungo la filiera della mozzarella di bufala Dop. Si tratta del secondo filone dell’inchiesta coordinata sempre dalla procura campana che nel 2013 aveva scoperto e denunciato l’uso in diversi caseifici, specie nell’area di Castel Volturno, di latte munto da bufale malate di brucellosi ma che finiva ugualmente nelle mozzarelle Dop. Gli animali venivano illegalmente vaccinati, con la compiacenza dei veterinari, prima dei controlli, per “mascherare” la malattia e poter continuare a produrre latte. Una pratica ovviamente illegale.
Ora invece l’attenzione dei magistrati si è spostata sui controlli di qualità previsti dalla legge per certificare il marchio Dop e il nuovo filone di indagine vede indagati con diverse ipotesi di reato (dall’associazione per delinquere all’abuso di ufficio fino alla frode in commercio e alla vendita di prodotti non genuini) 30 persone: allevatori, proprietari di caseifici, tra i quali Paolo Marrandino, all’epoca dei fatti tra gli sponsor del Napoli Calcio, i più alti dirigenti della Csqa, uno dei principali organismi di certificazione in Italia e all’estero, come l’amministratore delegato Pietro Bonato e Michele Zema il direttore commerciale, e dipendenti del ministero delle Politiche agricole, tra i quali spicca Laura Marisa La Torre all’epoca dei fatti – tra marzo 2012 e il 2013 – direttore generale all’Icqrf per il Riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e per la Tutela del consumatore.
“Questi della mozzarella devono morire!”
È proprio lei che al telefono, intercettata dagli inquirenti, rivela ai due dirigenti del Csqa che avrebbe avuto la possibilità di “far morire questi della mozzarella” riferendosi al Dqa l’ente di certificazione – all’epoca dei fatti in pole position per prendere il posto della Csqa ma non ancora incaricato dal ministero delle Politiche agricole – contro il quale, si legge negli atti della procura, verranno messe in atto una serie di attività di ostacolo “al fine di consolidare l’egemonia del Csqa nel rilascio dei certificati di qualità”.
Insomma tra la guerra per accaparrarsi i controlli, le connivenze del controllore ministeriale e le ispezioni “addomesticate” a farne le spese erano i consumatori che, convinti di acquistare un prodotto garantito, si ritrovavano magari a mangiare un prodotto che Dop non era.
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Il controllato paga il controllore
Ma come funziona il sistema di certificazione? E che tipo di ispezioni sono previste dal disciplinare della mozzarella campana Dop?
Un’azienda che intende produrre prodotti certificati (che siano biologici o a denominazione, come le Dop, le Doc o le Igp) deve rispettare un disciplinare di produzione e il suo impegno è validato da un organismo di certificazione, a sua volta riconosciuto a livello nazionale da Accredia e controllato dall’Icqrf del ministero delle Politiche agricole.
La certificazione e le ispezioni ovviamente si pagano. Esiste quindi di fatto un conflitto di interesse “istituzionale”: il controllato paga il controllore per farsi certificare. Qual è dunque l’affidabilità di questo sistema? Una questione più volte sollevata e sulla quale, anche a livello ministeriale, si sta ragionando per individuare una soluzione diversa per garantire la terzietà e indipendenza delle certificazioni.
Nel caso della mozzarella di bufala cosa prevede il disciplinare della Dop in fatto di controlli? Almeno una verifica all’anno nei caseifici “senza preavviso”. I tecnici valutatori dell’organismo di certificazione quindi devono presentarsi a “sorpresa” presso le aziende e prelevare i campioni senza avvertire il controllato.
Le ispezioni? Concordate al telefono
Gli atti dell’inchiesta raccontano un altro film: i titolari dei caseifici, ma in alcuni casi anche gli allevatori, venivano avvertiti per tempo dai tecnici del Csqa in modo tale, ad esempio, da “concordare la documentazione: l’analisi sul latte e i dati produttivi dell’azienda”.
I forestali del Naf, il Nucleo agroalimentare e forestale, di Roma e del comando provinciale di Caserta, attraverso le intercettazioni telefoniche e i riscontri tramite le localizzazioni Gps, sono riusciti a ricostruire la rete di connivenze che potrebbe aver messo in serio dubbio la qualità stessa della mozzarella di bufala Dop.
E così succede anche che “violando il divieto di preavviso dei controlli” i controllati venivano avvertiti “del giorno delle verifiche ispettive”. Le ispezioni pilotate avvenivano anche sul latte fresco “attestando, contrariamente al vero” che il campione era stato prelevato in una data diversa da quella effettiva, oppure che i controlli si erano svolti in un giorno diverso da quanto previsto, favorendo sempre le aziende che dovevano essere certificate.
Ma succedeva anche che latte usato per la mozzarella non fosse conforme e nonostante questo i certificatori Csqa chiudevano un occhio e “attestavano contrariamente al vero” che fosse latte Dop. E gli occhi dei “controllori” si chiudono anche il 10 gennaio 2013 quando nel rapporto di verifica di un’azienda agricola di Francolise (Caserta) viene certificato il rispetto delle norme igienico-sanitarie, “mentre in realtà la società non aveva l’autorizzazione sanitaria per il magazzino”.
La guerra per mantenere il controllo
L’altra faccia dell’inchiesta racconta invece dei tentativi di impedire alla Dqa di subentrare alla Csqa come organismo di certificazione della mozzarella Dop. Ad ostacolare la Dqa si sarebbero adoperati i dirigenti della Csqa e la dirigente dell’Icqrf La Torre. Come? Attraverso pressioni sulle Regioni “per far esprimere parere negativo” sulla Dqa, rivelazioni di segreti d’ufficio per “consolidare l’egemonia del Csqa” e per consentirgli “di svolgere la propria attività in regime di proroga” procurando “intenzionalmente un ingiusto vantaggio” all’ente diretto da Bonato.
Una guerra di posizione nella quale la direttrice dell’Icqrf, secondo gli atti del pm, fa anche pressioni sul Consorzio della mozzarella di bufala campana Dop perché paghi delle fatture emesse dalla Csqa minacciando in caso contrario di “multarli per 62mila euro”.
Resta da chiedersi perché e in cambio di cosa la dirigente dell’Icqrf abbia giocato questa partita. Glielo avremmo voluto chiedere ma ha preferito non rispondere alle domande del Test-Salvagente. Dalla Dqa invece ci hanno risposto di non essere a conoscenza nemmeno dell’esistenza dell’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere.
La difesa del Csqa: “Ricusati perché troppo severi”
Chi ci ha risposto, in una nota, è Luigino Disegna presidente della Csqa che difende il proprio operato: “Abbiamo da sempre agito con indipendenza, trasparenza e proposto l’intensificazione dei controlli. Alla scadenza del triennio di incarico dell’attività di controllo (2013, ndr), il Consorzio di tutela della Mozzarella di bufala ha ritenuto di ricusare il Csqa e di proporre al Mipaaf l’incarico a un altro organismo. Evidentemente siamo stati ritenuti troppo severi nell’attività di controllo”. Il presidente dell’organismo sotto inchiesta si dice “sorpreso di essere stati coinvolti in questo procedimento” e ribadisce di “aver svolto nel massimo rispetto del piano di controllo, a suo tempo approvato dal Mipaaf e poi rimodulato su nostra proposta triplicandone la frequenza”.
In attesa del pronunciamento del gip e al di là delle ipotesi di reato, resta una domanda di fondo: un sistema di certificazione fondato sul conflitto di interessi può garantire la qualità al consumatore? Noi continuiamo ad avere seri dubbi.