Dal 2 marzo sarà possibile sottoscrivere anche in Italia il nuovo Prestito ipotecario vitalizio (Piv). Lo prevede il regolamento pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 febbraio che disciplina questa nuova forma di finanziamento, a metà tra un prestito e un mutuo, che in realtà è “senza rata”, molto caro e rivolto a chi ha più di 60 anni e decide di mettere in gioco la propria casa con la banca per avere in cambio tra il 15 e il 50% del valore dell’immobile, sul quale viene iscritta un’ipoteca. Uno strumento che rappresenta un’alternativa alla nuda proprietà ma da maneggiare davvero con cura per i costi talmente elevati che potrebbero costringere poi gli eredi a cedere l’immobile alla banca.
Banca pigliatutto
A differenza della nuda proprietà infatti la proprietà dell’immobile resta agli eredi ma con essa anche il debito. E i congiunti avranno 12 mesi di tempo per decidere se estinguere in un’unica soluzione il debito per riscattare la casa oppure se vendere l’immobile per ripagare la banca. Passato questo periodo di tempo, se i familiari non hanno deciso, spetterà all’istituto di credito cedere l’immobile per rientrare del credito vantato.
Istituito con la Finanziaria 2006 (legge 248/2005) per volere dell’allora ministro Tremonti, il Prestito vitalizio in Italia è stato modificato dopo che il 12 luglio 2014 fu approvata una proposta di legge alla Camera, primo firmatario Marco Causi del Pd, che recepisce una serie di miglioramenti, condivisi dall’Abi e da 11 associazioni dei consumatori, che sulla carta rendono il Piv meno rischioso per i contraenti: il debito finale non può superare il valore dell’immobile (se succede è a rischio e pericolo della banca, che non può esigere la differenza) ed è prevista la possibilità di poter pagare mensilmente la sola quota interessi. Di fondo però il Piv continua ad essere uno strumento finanziario da maneggiare con cura per almeno due motivi: è un prestito molto caro ed è uno strumento di finanziamento molto diverso dalle “tradizionali” forme di credito.
Più caro di un mutuo
I tassi attualmente praticati (tra il 7,5% e il 9%) rendono il Piv molto più caro di un mutuo trentennale. Ma è la capitalizzazione annuale degli interessi a rappresentare l’aspetto più oneroso per gli eredi: gli interessi e le spese (perizia, istruttoria, assicurazione incendio/scoppio) sono capitalizzati periodicamente sul finanziamento originario e rimborsati tutti in un’unica soluzione alla morte del contraente.
Facciamo un esempio. Consideriamo un finanziamento da 100mila euro e un Taeg del 7,5%: il primo anno si matureranno 7.500 euro. Il secondo anno il 7,5% viene calcolato sul montante, costituito dal capitale (100mila euro) e gli interessi maturati, e quindi gli interessi maturati nel secondo anno saliranno a 8.062. Una forma di anatocismo, di interessi sugli interessi, che alla scadenza del contratto fa lievitare esponenzialmente la cifra che gli eredi dovranno restituire. Di quanto? Basta considerare qualche esempio : dopo 14 anni i 100mila euro diventano oltre 275mila, dopo 20 anni ci ritroviamo a dover restituire 425mila euro. È chiaro che, una volta concluso il contratto, agli eredi non resterà altro che vendere l’immobile per ripagare il debito, sperando che nel frattempo non si sia troppo deprezzato.
Senza ammortamento
La legge sul Piv in realtà, rispetto al testo del 2005, prevede che le “parti”, la banca e il proprietario dell’immobile, possano accordarsi per stabilire il pagamento mensile degli interessi e delle spese evitando la capitalizzazione periodica. Tuttavia è lo stesso Prestito vitalizio che, in Italia come nel resto d’Europa, prevede che il proprietario in vita non debba versare alcuna rata e che, capitale e interessi, vengano poi liquidati (o meno) dagli eredi.
Non c’è dubbio poi che il Piv sia molto diverso da altri strumenti di credito. Con capitalizzazione periodica, infatti, il Piv non prevede un piano di ammortamento: non versando rate e non dovendo rimborsare mensilmente una quota di capitale e di interessi – come avviene tradizionalmente per i mutui – il sottoscrittore non ha contezza di quanto si accumula nel tempo. È vero che, come prevede l’intesa raggiunta tra Abi e associazioni dei consumatori, è previsto che venga consegnato al sottoscrittore un piano di maturazione degli interessi con una durata di almeno 10 anni, ma se questo non indicasse anche il montante periodico e finale (la quota complessiva di capitale e interessi maturati) l’informazione rischia di essere parziale. Un aspetto in più, se ce ne fosse bisogno, che segnala il fatto con il Prestito vitalizio è una forma di credito da maneggiare con molta cura.
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