Nel 2012, le industrie agrochimiche e alimentare americane hanno messo in piedi una dispendiosa campagna di comunicazione a difesa del cibo e delle colture geneticamente modificate. Lo scopo di questa campagna era quello di evitare che anche in California, Colorado, Oregon e Washington diventi obbligatoria l’etichettatura sui cibi che contengono Ogm in modo che i consumatori non siano informati sul vero contenuto degli alimenti. Tra queste industrie, quella che ha investito maggiormente è stata Monsanto che ha speso oltre 22 milioni di dollari su un totale di 103 milioni. A fare nomi e numeri è stato un Report curato dalla ong U.S. Right to Know in cui sono state raccolte le tattiche che le aziende hanno utilizzato per convincere prima i media e poi l’opinione pubblica della bontà delle materie prime ogm.
Secondo una lista compilata dal Centro per la sicurezza alimentare, ci sono 64 Paesi in tutto il mondo, che richiedono l’etichettatura dei prodotti contenenti Ogm. Negli Stati Uniti, la politica della Fda è quella di sostenere l’etichettatura Ogm volontaria piuttosto che obbligatoria. Secondo l’Usda, circa il 90 per cento di tutto il mais e la soia coltivata negli Stati Uniti è geneticamente modificato. A meno che un etichetta indichi espressamente il contrario, qualsiasi mais o soia utilizzati nei prodotti o mangimi fabbricati negli Stati Uniti è probabile un Ogm. Gli sforzi delle aziende biotech, dunque, si sono rivolti in quei 4 Stati e per scongiurare il rischio che diventi obbligatorio indicare la presenza di Ogm in etichetta , le aziende hanno utilizzato ogni mezzo, ad esempio, hanno sempre nascosto ai consumatori i danni delle colture Ogm e gli hanno fatto credere, senza prove, che i prodotti provenienti da colture geneticamente modificate siano più nutrienti rispetto a quelli “free”.