Il Bt 176 della Syngenta, il primo mais transgenico commercializzato in Europa, “era tossico a lungo termine per gli animali”. Dopo il discusso studio sul mais Nk603 della Monsanto, Gilles-Eric Séralini torna all’attacco sugli Ogm con uno studio destinato a far rumore. Soprattutto per il fatto che, dopo che il precedente caso (novembre 2012) in cui la ricerca era stata pubblicata e poi ritirata dalla rivista Food and Chemical Toxicology, oggi sembra ripetersi il caso, dato che il link in cui è stato pubblicato lo studio sullo Scholarly Journal of Agricultural Sciences è improvvisamente scomparso.
Lo studio, “il primo sugli effetti a lungo termine dell’uso di Ogm nell’alimentazione animale”, è stato realizzato assieme all’allevatore tedesco Gottfried Glockner, che dal 1998 al 2002 ha nutrito le sue 60 vacche “con quantità crescenti di Bt 176” dal 5% fino al 40%. “Prima ho rilevato casi di paralisi e quindi problemi ai reni”, ha spiegato l’allevatore, a cui ha fatto seguito un tasso di decesso del 10%, mentre il 40% dei suoi animali si ammalava.
Secondo Seralini, nessun esame ha riscontrato la presenza di batteri o virus e dunque le malattie degli animali non sono legate a virus e malattie genetiche. “L’unica conclusione – ha affermato lo scienziato francese – è che il responsabile potesse essere il mais Bt”. Il Bt 176 è stato ritirato dal commercio nel 2007. “La Syngenta aveva realizzato degli studi precedenti alla commercializzazione – ha accusato Seralini – ma solo sul breve termine e su 4 animali, di cui uno moriva dopo poco tempo con problemi motori ed alle mucose, gli stessi riscontrati da noi”.
A seguito di questo studio, gli eurodeputati verdi francesi José Bové e Michele Rivasi hanno ribadito la necessità che la Ue si doti di un sistema di etichettatura per gli Ogm e di ampliare il ruolo dell’Efsa. “L’Efsa – ha spiegato Bové – analizza quali sono gli elementi portati dalle autorità scientifiche, mi sono battuto perché abbia più fondi in modo da fare le sue analisi indipendenti: rimettiamo in causa il fatto che tutti gli studi passano per le stesse persone, che sono quelle messe dall’industria”. Lo scienziato Marc von Montagu, uno dei padri delle tecniche biotech, presente alla conferenza stampa, ha considerato la ricerca di Seralini come “priva di fondamento scientifico”.
Il precedente: accuse choc alla Monsanto
Séralini non è nuovo a queste ricerche choc. L’ultima aveva provocato clamore nel novembre del 212 con il titolo di prima pagina del settimanale francese “Le Nouvel Observateur” decisamente chiaro. Oui, les Ogm sont de poisons! (“Sì, gli Ogm sono dei veleni”).
Una ricerca curata per 6 anni in gran segreto da Gilles-éric Séralini e dal suo gruppo che avevano importato in gran segreto i sacchi di mais Monsanto con cui preparare i croccantini per i 200 ratti che hanno fatto da cavie. E durante l’intero studio, per evitare il fuoco di sbarramento dei giganti del biotech, hanno criptato le loro e-mail e non hanno mai utilizzato il telefono per parlare della ricerca. Addirittura hanno lanciato uno studio esca per depistare le multinazionali delle sementi.
I risultati, Séralini li riassumeva così: “Dopo un anno di menu differenziati a base di mais Ogm era già un’ecatombe tra i ratti, di una portata che non avrei mai immaginato”.
Le conclusioni, in sostanza, dimostravano come i topi nutriti con il mais Ogm Nk 603 resistente all’erbicida Roundup (entrambi prodotti Monsanto) cominciavano a manifestare dal tredicesimo mese in poi patologie molto serie: soprattutto tumori alle ghiandole mammarie le femmine e danni ai reni e al fegato i maschi. E non in casi sporadici.
Puntualmente, a poco più di due settimane dalla pubblicazione choc dello studio di Gilles-éric Séralini, era arrivata l’immancabile bocciatura dell’Efsa.
“L’esistenza di timori circa la potenziale tossicità del mais Ogm NK603 e di un erbicida contenente glifosato non ha una qualità scientifica tale da essere considerato valido ai fini di una valutazione del rischio”. Questa la conclusione della “task force” multidisciplinare dell’Authority, fortemente voluta dalla Commissione europea dopo la pubblicazione della ricerca francese.
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