Il governo britannico sta prendendo nuovamente in considerazione l’introduzione di una tassa sulle bibite zuccherate. Lo ha detto nei giorni scorsi il premier David Cameron allarmato dall’escalation dei casi di obesità. Il premier – che negli anni scorsi si era detto fortemente contrario alla sugar tax – ha citato, rispondendo alle domande dei giornalisti durante una conferenza stampa in Ungheria, uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet in cui si concludeva che una riduzione di zucchero del 40% nelle bevande zuccherate nell’arco di cinque anni potrebbe prevenire 300.000 casi di diabete di tipo 2 nel Regno Unito nei prossimi due decenni.
L’idea non è nuova: il Messico ha già introdotto una misura simile, tassando specifici gruppi di alimenti contenuti nelle bevande zuccherate e ottenendo discreti risultati sulla riduzione del consumo.
Ovviamente la proposta ha scatenato le reazioni delle associazioni dei medici, da un lato, e della lobby alimentare dall’altro. Shree Datta, ricercatrice della British Medical Association, ha spiegato: “I dati dimostrano che l’obesità è un problema enorme. Il 30% della popolazione del Regno Unito sarà obeso entro il 2030 e questo, in gran parte, è dovuto alla quantità di zucchero che stiamo consumando senza rendercene conto”. Per i medici della BMA, l’efficacia della misura dipenderebbe anche dal peso della tassa. Sarebbe dunque necessario un rincaro di almeno il 20% per scoraggiare gli acquisti. D’altro canto, la Soft drink association ha indicato una mancanza di prove a sostegno dell’efficacia della misura.
Anche nel nostro Paese siamo stati ad un passo dall’introduzione della tassa: proposta dall’allora ministro della Salute, Renato Balduzzi, nella misura di 3 cent fu fortemente ostacolata dalla Fipe-Confcommercio secondo cui “l’educazione alimentare si coltiva sollecitando il consumatore a conoscere i valori nutrizionali di ciò che beve e di ciò che mangia”.
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