Mentre da noi si contano le ore per lo sbarco di Netflix (la data è il 22 ottobre), dall’altra parte dell’oceano una grana rimbalza sui giornali e mette in dubbio le ultime scelte del colosso dello streaming statunitense. E spiegherebbe i risultati dell’ultima trimestrale inferiori alle attese in Usa.
Responsabile sarebbe il passaggio a chip (o EMV) per gli abbonamenti con carte di pagamento che avrebbe fatto perdere alcuni dei vecchi abbonati.
Una scusa per minimizzare i 110 milioni di dollari persi ( o meglio di minor guadagno, visto che la società ha presentato un fatturato da 1,74 miliardi di dollari con 0,07 dollari di guadagno per azione e 74 milioni di dollari di profitto) rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso?
Fonti bancarie sembrano credere poco ai rumours. “Sarei sorpreso se questo dosse un problema per una società come Netflix” ha detto l’amministratore delegato della società che gestisce le carte di credito Cayan al Wall Street Journal. Di certo i segnali finanziari del colosso dello streaming in abbonamento – 10 punti in meno in borsa nei giorni successivi alla trimestrale – non sembrano così entusiasti dello sbarco in Italia, dove sono previste tre formule di abbonamento.
Si partirà con un’offerta “base” da 7,99 euro (contenuti in qualità standard da un solo dispositivo a scelta fra console, smart tv, tablet, pc, tv box e smartphone), poi una proposta “standard” da 9,99 euro (in Full HD e su due dispositivi a scelta). Al top il piano “premium” da 11,99 euro (contenuti in 4K accessibili da quattro dispositivi diversi).
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Tra le alternative e i concorrenti, intanto, continua a fare scalpore l’iniziativa dell’italiana VVVVID.