Lo scivolone dell’extravergine. È questo il titolo di copertina con il quale il Test esce in edicola il 23 maggio. Un titolo appropriato, riteniamo, per un servizio che sta già facendo discutere, e per il quale si è già alzato il fuoco di sbarramento preventivo di molti uffici legali di importanti multinazionali e grandi industrie che ci hanno promesso cause milionarie. Le sosterremo, convinti che il nostro mestiere non possa fermarsi di fronte alle minacce di chi vorrebbe imporci il silenzio.
Tanto più che l’inchiesta di Enrico Cinotti pone un problema sul quale, pensiamo, varrebbe davvero la pena che i consumatori riflettessero. Prima di tutto, però, i fatti.
DECLASSATI
Ben nove bottiglie sulle 20 che abbiamo fatto analizzare dal laboratorio chimico di Roma dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli sono state declassate dal Comitato di assaggio a semplici “oli di oliva vergine”. E questo non per antipatia o per prove “soggettive” ma per analisi previste dalla legge. Un olio per essere extravergine deve infatti rispettare tutti i parametri chimici previsti dalla normativa e superare la prova del panel test, obbligatoria per legge dal 1991, ovvero non riportare alcun difetto organolettico. La presenza anche di una sola attribuzione negativa rinvenuta dagli assaggiatori esperti e accreditati ne decreta il declassamento, ad esempio dalla categoria “extravergine” a quella inferiore di “vergine”.
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E questo è esattamente quello che è accaduto quasi per un prodotto su due di quelli che il Test ha voluto portare in laboratorio per verificare, dopo una stagione olearia disastrosa, la qualità del grasso vegetale più regale che portiamo sulle nostre tavole.
SCAFFALE OSCURO
E qui si apre una considerazione che riguarda in prima persona il consumatore e le associazioni che ne difendono i diritti e ne tutelano l’informazione e la crescita. Da una parte, infatti, c’è un ovvio problema per il suo portafogli: acquistare un extravergine per poi ritrovarsi un semplice vergine significa aver speso almeno il 30-40% in più per un prodotto che viene presentato in tutt’altro modo.
Dall’altra c’è una considerazione. Dal campo allo scaffale il prezzo di un extravergine rischia di raddoppiare e per portare in tavola un litro di “oro verde” 100% italiano quest’anno, fatta eccezione per le offerte, non si dovrebbe spendere meno di 8 euro. E se il prodotto sullo scaffale non è in promozione e il listino va al di sotto quella cifra?
Sarebbe il caso di dubitare della qualità del prodotto e soprattutto della denominazione “tricolore” dell’olio. Altrimenti resta poco da scandalizzarsi se si trovano metà dei campioni declassati come è accaduto nelle analisi del Test.