L’esposizione a ossidi di metallo in nanoparticelle, come quella che può esserci negli alimenti e nell’acqua potabile, può determinare cambiamenti nei batteri dell’intestino umano.
È questo il risultato di una ricerca dell’Università della California, pubblicata su Environmental Engineering Science. Gli scienziati hanno usato un modello di intestino umano, esponendolo alle più comuni nanoparticelle – ossido di zinco, titanio diossido e diossido di cerio – misurando poi gli effetti sulla flora batterica del colon. “Una ricerca che può indicare i potenziali impatti delle nanoparticelle sulla salute umana” ha suggerito il team del professor Sharom Walker.
Questo nuovo studio, il primo di questo tipo, avviene proprio nel paese, gli Stati Uniti, dove più forte è l’investimento delle industrie sull’uso di nanoparticelle.
Come risulta al Test, nell’inchiesta presentata sul numero in edicola, solo nel 2013 sono 1.628 i prodotti alimentari o meno che, soprattutto negli Usa, sono stati messi in commercio. Un’enormità se si pensa che nel 2008 negli Stati Uniti erano solo 8.
E il risultato sulla salute dei consumatori è ancora troppo incerto, tanto che esperti come Stefano Montanari, l’autore della ricerca choc sulle antiaderenti pubblicata su Il Test, commentano: “Il pericolo è quello comune a tutte le particelle, e questo indipendentemente dalla loro composizione. La patogenicità è legata principalmente all’essere corpi estranei e come tali essere percepiti dal nostro organismo”.
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