Class action sullo smog, il precedente che è finito con 80mila euro da risarcire al Comune di Milano

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Dopo aver letto la nostra inchiesta sull’azione legale collettiva “Aria pulita” del network Consulcesi, una dei 200 cittadini che nel 2011 hanno portato davanti al giudice il Comune di Milano, ci ha contattati per raccontarci l’amaro risvolto di quella vicenda: 80mila euro da risarcire dopo aver perso la causa

Dopo aver letto la nostra inchiesta sull’azione legale collettiva “Aria pulita” del network Consulcesi, una dei 200 cittadini che nel 2011 hanno portato davanti al giudice il Comune di Milano, ci ha contattati per raccontarci l’amaro risvolto di quella vicenda: 80mila euro da risarcire dopo aver perso la causa.

La class action a Milano

Nel 2011, Francesca (nome di fantasia perché preferisce non essere citata con nome e cognome reali) sente durante la trasmissione Caterpillar a Radio2 il politico allora dei Verdi, Enrico Federighini (oggi consigliere comunale a Milano) raccontare di una class action lanciata dall’avvocato Claudio Linsola contro l’amministrazione. Francesca, sempre attiva i gruppi di cittadini contro lo smog, decide di parteciparvi. Con la citazione, i ricorrenti accusano il Comune di non aver fatto abbastanza per evitare gli sforamenti rispetto alle direttive Ue di emissioni di Pm10 dal 1998 al 2011, e chiede al giudice di quantificare i “danni non patrimoniali” subiti per colpa dello smog, in modo che siano “risarcibili”.  Da questo punto di vista, si nota un’analogia con l’azione legale collettiva di Consulcesi (che però sul sito fornisce dei numeri di riferimento di rimborso che arrivano anche a somme che sfiorano i 400mila euro). Ci sono però altri aspetti decisamente distanti, come la parcella dell’avvocato. Mentre Consulcesi chiede una quota di partecipazione di 350 euro, come racconta Francesca, “L’avvocato Linsola si è messo a disposizione gratuitamente per la class action. Eravamo circa 200 e ci siamo autotassati di 10 euro a testa giusto per le spese pratiche”.

Sconfitti in due gradi di giudizio

Purtroppo però sia al primo che al secondo grado di giudizio, i ricorrenti perdono la causa. “In buona sostanza la questione è questa – spiega Francesca – all’epoca la legge prevedeva che tu per una questione di questo tipo ti rivolgessi al tribunale ordinario. Il giudice ha impiegato un sacco ad andare a sentenza e nel frattempo è cambiata la legge e per una questione del genere ora ci si deve rivolgere al Tar. Dunque il giudice ci ha detto che dovevamo rivolgerci al Tar, e ci ha chiesto 40mila euro di rimborso di spese al Comune per i suoi avvocati al primo grado, che sono diventati complessivamente 80mila dopo il secondo grado tra altre spese, interessi, eccetera eccetera”.

La responsabilità in solido

Nonostante lo smacco, divisi equamente tra 200 persone la somma corrisponderebbe a 400 euro a testa, non pochi ma non una cifra drammatica. “Il problema è – spiega Francesca – che per questo tipo d causa valeva la responsabilità in solido di noi ricorrenti, vuol dire che se la metà si sottraesse, chi andando a vivere all’estero, chi non potendo più pagare, chi semplicemente essendo deceduto, comunque l’intera somma dovrebbero coprirla i restanti”.

La spada di Damocle

Il secondo grado si chiude nel 2015, e da allora il Comune non ha ancora chiesto i soldi ai ricorrenti. “Ci è stato detto informalmente che se non avessimo fatto una nuova causa al Tar, il Comune non si sarebbe fatto avanti per riavere i soldi, ma sono voci, nulla di scritto, ovviamente non possiamo dormire serenamente sapendo che potrebbe arrivare la richiesta da un momento all’altro, almeno fino a quando non saranno passati 10 anni dalla sentenza”.

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Il messaggio a Consulcesi

Dopo aver letto l’inchiesta del Salvagente su Consulcesi, Francesca non è stata con le mani in mano: “Ho scritto su Instagram a Consulcesi, perché loro fanno pubblicità lì, e nel commento, che però poi è scomparso, mi sono limitata a dire: occhio, perché una cosa del genere non è così semplice, io ho già partecipato a una class action su questi temi e sono stata condannata in solido al rimborso delle spese”.

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