Pfas nell’aria: maglia nera al Piemonte, seguito da Veneto, Lombardia e Toscana

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Non solo acqua contaminata: i Pfas si diffondono anche nell’aria che respiriamo. Un’analisi di Greenpeace sui dati ufficiali delle emissioni industriali mostra che questi inquinanti “eterni” vengono rilasciati su larga scala, soprattutto dal polo chimico di Alessandria, con possibili ricadute su suoli, alimenti e acqua potabile. Le altre regioni più coinvolte

In Italia i Pfas non sono presenti solo nelle acque, ma anche nell’aria che si respira. A dimostrarlo è l’ultima inchiesta dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, che ha analizzato i dati del Registro europeo Pollutant Release and Transfer Register (Prtr), in cui sono raccolti i valori delle emissioni di oltre 4 mila stabilimenti industriali italiani. Queste strutture sono soggette all’obbligo di dichiarazione in merito a diversi inquinanti, il che rende possibile fotografare il livello di emissioni per varie sostanze a livello nazionale.

L’Analisi di Greenpeace

L’analisi di Greenpeace Italia si è focalizzata su un particolare tipo di inquinante dell’aria, i gas fluorurati (F-gas), dei quali la maggior parte sono proprio sostanze poli- e per- fluoroalchiliche (Pfas), le ormai note sostanze chimiche di sintesi ampiamente usate anche dal settore industriale italiano. “Per avere un’idea dell’impatto generale dell’inquinamento generato da queste sostanze a livello europeo, basti pensare che, seppure non tutti i gas fluorurati siano Pfas, questi gas sono responsabili del 60% di tutte le emissioni di Pfas nell’Unione Europea” spiega Greenpeace. L’esposizione ai Pfas è associata a una serie di effetti negativi sulla salute, tra i quali anche alcune forme tumorali.

La maglia nera al Piemonte

Seppur nessuna regione risulti esclusa dalla raccolta dati (a parte la Calabria per la quale non sono presenti dati), è il Piemonte l’epicentro di questo tipo di inquinamento ambientale. Infatti, il 76% delle emissioni italiane di F-gas (2.863 tonnellate nel periodo 2007-2023) si è verificato proprio in quest’area, perlopiù nel Comune di Alessandria, dove si trova il polo chimico ex Solvay che produxe Pfas. Il restante 24% delle emissioni è in larga parte attribuibile alle industrie localizzate in Veneto (in particolare nella zona di Venezia), Lombardia e Toscana. “Da notare – continua Greenpeace – che l’incidenza delle industrie che si trovano nelle altre regioni sul valore complessivo delle emissioni è minima rispetto ai valori piemontesi, ma tutt’altro che trascurabile in termini assoluti”.

Il caso di Alessandria e della ex Solvay

A Spinetta Marengo ha sede lunica industria chimica italiana – la ex Solvay, oggi Syensqo – che produce ancora Pfas. Come si evince chiaramente dalla classifica degli stabilimenti per valore di emissione, questa struttura è responsabile delle più importanti emissioni di F-gas a livello nazionale. Nel 2023 ha generato il 55% dellinquinamento italiano legato ai F-gas. Il residuo 45% di queste emissioni è ripartito tra diversi gruppi e realtà industriali, tra cui in prima linea Versalis, il braccio “chimico” di Eni (con stabilimento a Porto Marghera). In alto nella classifica troviamo anche Lfoundry (Avezzano), Alkeemia (Marghera) e STMicroelectronics (che ha due poli produttivi ad Agrate e Catania, rispettivamente quarto e sesto posto nella classifica). Dalle elaborazioni realizzate da Greenpeace Italia si nota che il primato dellex Solvay rispetto a tutte le altre aziende che emettono F-gas dura da molto tempo. Da solo, questo gruppo industriale ha emesso, da 16 anni, ben più della metà dellinquinamento italiano relativo a questi composti. “È possibile inoltre notare, sempre riguardo allex Solvay, un calo progressivo delle emissioni, a partire dal 2019-2020. Ciò può essere spiegato con più fattori: da una parte, è verosimile che tale riduzione sia collegata alla pandemia da Covid-19 scoppiata nel 2020 e dalle chiusure che ne sono derivate. In più, nel 2022, lex Solvay ha annunciato di voler arrivare alleliminazione progressiva dei fluoro tensioattivi Pfas entro il 20265, e questo potrebbe aver avuto un effetto anche sulle emissioni aeree di F-gas” spiega Greenpeace. Oggi, si legge sul sito dell’azienda, a Spinetta Marengo viene prodotto solo un tensioattivo fluorurato di nuova generazione definito da Syensqo «non bioaccumulabile (a differenza di altri Pfas introdotti nellambiente dallex Solvay negli altri passati), il C604.

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I dubbi sul C604

Medicina Democratica pensa che come tossicità acuta il C604 sia identico ai Pfas che dovrebbe sostituire (Pfoa, acido perfluoroottanoico) mentre per la tossicità a lungo termine (collegata alla bio-accumulazione) “semplicemente non sono presentati studi idonei”. Dubbi che sembrano confermati da una pubblicazione dellUniversità di Padova e dellIstituto di Ricerca sulle Acque del Cnr (IRSA-CNR, Brugherio) secondo cui “il C6O4 altera in modo significativo, e per alcuni versi ancora maggiore del Pfoa, i processi biologici della vongola filippina (o vongola verace)”. Tra giugno e luglio del 2024 – quindi dopo lultima rilevazione disponibile – lazienda ha dovuto fermare per un mese la produzione del C6O4, a causa dei livelli eccessivi di inquinamento da C604 rilevati nelle acque e nel suolo nei dintorni dellazienda e dei suoi scarichi9. La decisione era stata presa dalla Provincia di Alessandria.

Il pericolo Tfa

Secondo Greenpeace, la diffusione aerea determina anche “un conseguente deposito di Pfas su suolo e corpi idrici”. Nei pressi degli stabilimenti si può generare così una pericolosa concentrazione di Pfas nellambiente e di conseguenza anche nel cibo – sia di origine vegetale sia animale – e nel nostro corpo. Alcuni F-gas, inoltre, una volta dispersi si “trasformano” in acido trifluoroacetico (Tfa), la tipologia di Pfas più diffusa al mondo, che il Salvagente ha trovato recentemente anche dentro 15 diverse marche di prosecco, e che diffondendosi con le precipitazioni, si accumula nei corsi d’acqua che forniscono acqua potabile. Di recente, l’agenzia ambientale tedesca ha chiesto allEuropean Chemicals Agency (Echa) di classificare il Tfa come tossico per la riproduzione. Ad ottobre 2025, inoltre, Greenpeace Italia ha svolto unanalisi sulle acque minerali in commercio, rilevando contaminazione da Tfa in sei marche su otto.

Greenpeace: servono limiti e alternative

“Ricordiamo che in Italia non esiste ancora una legge che vieti la produzione e l’utilizzo di Pfas – spiega Greenpeace – Di recente, sono stati fatti diversi passi avanti per quanto riguarda i limiti per le acque potabili, ma rispetto ai gas fluorurati non esiste nessuna norma nazionale che stabilisca un vero e proprio tetto alle emissioni”. Le uniche regole sul tema sono contenute in un Regolamento europeo del 201414, aggiornato nel 2024, che stabilisce il phase down, cioè la progressiva riduzione dell’utilizzo di gran parte di queste sostanze entro il 2030. Secondo il regolamento, spetta agli Stati membri l’organizzazione dei controlli e la definizione di sanzioni penali ed amministrative in merito. “In Italia, per stare al passo con le richieste europee è necessario accelerare i nostri sforzi verso l’abbandono dei F-gas. Oltre a generare tutti gli effetti dannosi per l’ambiente di cui abbiamo già parlato, infatti, queste sostanze contribuiscono anche al cambiamento climatico. Gli F-gas sono potenti gas a effetto serra” conclude greenpeace, che ricorda come “Per fortuna, per sostituire i gas fluorurati nei processi industriali esistono già diverse alternative disponibili, alcune delle quali studiate sul territorio italiano da Ispra. Queste emissioni potrebbero quindi essere facilmente evitate con uno sforzo congiunto di istituzioni e industria”.