
Gli isotiazolinoni, con diverse sigle e formulazioni, sono in gran parte dei prodotti per il bucato, come i detersivi. E non solo. Gli effetti sulla pelle sensibile sono associati a dermatiti o peggio. Come riconoscerli e dove li abbiamo trovati
Liquidi, in polvere, in capsule. Per capi scuri, chiari, delicati, sportivi. Non è facile districarsi tra l’offerta infinita di detersivi presenti sugli scaffali, gli sconti flash e la necessità di riempire un carrello che pesa sempre meno tra le mani, ma molto di più sul portafoglio. La maggior parte dei consumatori però non ha idea di cosa siano tutte quelle sigle riportate in etichetta e non sempre è consapevole della loro importanza per la propria salute. Alcune, come quelle relative agli isotiazolinoni, sono ovunque: nei detersivi, nei bagnoschiuma, negli shampoo. Si tratta di conservanti tra i più noti per causare sensibilizzazioni cutanee, ma sempre più studi indicano che potrebbero avere anche altri effetti biologici. Ci sono due notizie. Una cattiva: nell’inchiesta che pubblichiamo nel numero di ottobre, li abbiamo ritrovati in quasi tutti gli articoli dei marchi più famosi. Un’altra, buona, è che esistono alternative valide.
Cosa sono e dove sono contenuti i 4 conservanti
Un’indagine del 2016 del Politecnico (Eth) di Zurigo ha rilevato che i detergenti con più isotiazolinoni sono gli ammorbidenti (di seguito la lista di quelli in cui li abbiamo trovati, mentre la lista ben più lunga dei detersivi la potete leggere sul giornale in edicola) e i detersivi liquidi per bucato (72,5%), seguiti da detergenti multiuso (58,8%) e detersivi per piatti a mano (58,5%).
E difatti queste sostanze, disciplinate dal Regolamento (Ue) 2016/131, rappresentano i conservanti più usati per impedire la crescita di muffe e batteri nelle formulazioni a base d’acqua (quelle appena citate). I ricercatori hanno esaminato le etichette e i siti web di oltre 1.000 prodotti disponibili presso Migros, Coop, Aldi e Lidl, e intervistato più di 700 cittadini sulle abitudini d’uso. L’analisi mirata di 69 detergenti ha mostrato che oltre la metà conteneva almeno un isotiazolinone, spesso in combinazione (Mit/Bit, Cmit/Mit, Mit/Oit). Il rovescio della medaglia è la loro capacità di provocare dermatiti da contatto, orticaria, asma e danno oculare. Nel Rapporto Istisan 21/23 Detergenti: stato dell’arte e prospettive future dell’Istituto superiore di sanità (Iss), in collaborazione con il ministero della Salute, sono descritte le tipologie più comunemente utilizzate: Metilisotiazolinone (Mit), Clorometilisotiazolinone (Cmit), Benzisotiazolinone (Bit) e Octilisotiazolinone (Oit). Spesso Cmit e Mit sono usati insieme (in rapporto 3:1), grazie alla loro elevata solubilità in acqua e alla bassa concentrazione richiesta per prevenire contaminazioni, formando una miscela nota come Kathon CG o Kathon 886. Tutte queste sostanze sono però classificate per tossicità acuta, con Oit e Cmit/Mit tra i più letali. Inoltre, dal 1° settembre 2025 il limite ammesso di concentrazione del Bit – ampiamente utilizzato in detergenti, vernici, adesivi e riempitivi – scenderà dallo 0,05% allo 0,036% (Regolamento Ue 2024/197 del 2023) in quanto è stato classificato come sensibilizzante cutaneo di categoria 1A (rischio elevato).
Combinazioni frequenti, concentrazioni elevate e analisi scarne
La letteratura scientifica mostra che nella maggior parte dei casi il lavaggio in lavatrice riduce drasticamente i livelli di isotiazolinoni. Secondo uno studio dell’Ospedale universitario della Charité (Berlino), pubblicato nel 2018 su Clinical and Translational Allergy, un ciclo di lavaggio standard (colorati a 20 °C) rimuove il 100% dei livelli di Mit, con concentrazioni inferiori al limite di rilevabilità (0,5 parti per milione o ppm), anche partendo da 1000 ppm – per intenderci, 1 ppm equivale a trovare una sola goccia di conservante in mille litri di crema.
Tuttavia, la sicurezza “assoluta” non c’è, soprattutto per i soggetti allergici. Un articolo del 2023 uscito su Cutis ha riportato due casi clinici di dermatite da contatto al Cmit/Mit: una bambina di 7 anni guarì eliminando il detersivo contenente Mit e peggiorò dopo il contatto con capi lavati con lo stesso; mentre un operaio chimico di 39 anni, incaricato di aggiungere Mit a un detersivo, sviluppò dermatite grave che migliorò solo dopo il cambio mansione. L’anno scorso, invece, un uomo di 74 anni senza precedenti di dermatite ha avuto un’eruzione pruriginosa su gambe, interno coscia, schiena e torace. La causa principale, test alla mano, era il Bit presente in un detersivo per bucato Aldi. Dopo averlo sostituito, i sintomi dell’uomo sono pian piano scomparsi.
Si tratta di una questione complessa e controversa, soprattutto perché mancano studi su larga scala con patch test – che permettono di identificare le sostanze che fanno reagire la pelle – mirati sui detersivi moderni. Ma alcune ricerche svolte finora suggeriscono comunque di muoversi con cautela.
Basta un lavaggio per eliminarli?
Sebbene il lavaggio in lavatrice riduca isotiazolinoni e profumi sotto una soglia clinicamente rilevante, tracce di detersivo sul bucato possono essere un fattore di rischio: in uno studio del 2020 dell’Università di Rochester (Massachusetts, Usa), uscito su Dermatitis, sono scomparse solo dopo 22 risciacqui in acqua. Riguardo alla persistenza, una pubblicazione dell’anno dell’Università di Las Palmas sulla stessa rivista ha rilevato fino a 0,4 ppm di isotiazolinoni nella biancheria lavata a mano (con un limite di rilevabilità di 0,001 ppm), livello potenzialmente sufficiente a scatenare reazioni su una pelle sensibile. I cicli standard di lavatrice li hanno invece ridotti a valori clinicamente irrilevanti (sia per cotone, poliestere, lino e lana).










