Insalate in busta, per l’industria va tutto bene. Ma qualcosa non torna

insalate

Il nostro test sulle insalate in busta, pubblicato sul numero di dicembre, ha suscitato una reazione da parte dell’Unione italiana food, l’associazione industriale che tra l’altro rappresenta il settore, che ci ha scritto una lettera sollevando alcune questioni a cui rispondiamo punto per punto

Il nostro test sulle insalate in busta, pubblicato sul numero di dicembre, ha suscitato una reazione da parte del comparto IV gamma che, attraverso l’Associazione di categoria Unione italiana food, ci ha scritto una lettera, firmata dal direttore generale Mario Piccialuti, sollevando alcune questioni.
Il primo tema, che ci preme affrontare, è quello che mette in discussione le possibili conseguenze dannose del cosiddetto effetto cocktail che si ottiene quando in un solo prodotto sono presenti contemporaneamente tracce o residui di diversi pesticidi.

L’effetto cocktail esiste o no?

L’Unione italiana food ci scrive che “non esiste ad oggi alcuno studio scientifico che dimostri l’effetto cocktail sulla salute del consumatore. L’Efsa sta conducendo da anni uno studio sul tema, che vedrà il 2030 come anno in cui dovrebbero completarsi le valutazioni del rischio cumulativo stabilite per i residui. Dopo tale data e in base alle risultanze dello studio se ne potrà quindi discutere in maniera oggettiva e concreta”.

Il fatto che l’Efsa stia ancora valutando il rischio cumulativo di varie sostanze lo abbiamo riportato più volte nei nostri articoli (anche nello stesso servizio sulle insalate). Ma non è vero che ad oggi non esiste alcuno studio sul tema, perché appena lo scorso maggio ne è stato pubblicato uno condotto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Sherbrooke in Canada che ha esaminato proprio l’impatto della combinazione di diversi residui di pesticidi sulle cellule umane. Luc Gaudreau, autore dello studio ha spiegato: “Conosciamo le cosiddette dosi sicure di ciascun prodotto ma la nostra di ricerca ha evidenziato che diverse piccole concentrazioni di più prodotti diversi possono essere dannose quanto una singola dose elevata concentrata di un singolo pesticida. Gli impatti sulla salute umana restano in gran parte sconosciuti”.
Per studiare gli effetti delle basse dosi di pesticidi sulle cellule, il team di ricerca ha analizzato una serie di combinazioni di pesticidi ampiamente utilizzati, osservando le interazioni con le cellule. I ricercatori hanno rilevato che, non solo i vari pesticidi possono attivare reazioni cellulari, ma la maggior parte di essi provoca effetti significativi quando combinati a basse dosi. Questo studio dimostra che è necessario considerare anche le interazioni sinergiche tra le diverse molecole dei pesticidi, persino a concentrazioni molto basse presenti nell’ambiente. Se diversi pesticidi combinati a basse dosi possono interferire con il normale funzionamento delle cellule e provocare danni al Dna, è possibile che abbiano effetti sconosciuti anche sulle malattie genetiche.

Pesticidi e tracce invisibili

Rispetto ai limiti di ogni singola sostanza, l’Unione italiana food sottolinea che i dati da noi pubblicati non evidenziano alcun eccesso di sostanze residue in quanto i valori al di sotto di 0,01 mg/kg non sono considerabili come residui, a norma di legge, in quanto con i comuni metodi analitici, concentrazioni al di sotto di questo limite non sono più quantitativamente rilevabili. Tali valori possono essere quindi oggetto di errore analitico, ovvero di contaminazioni ambientali, quindi non dovuti a trattamenti effettuati dagli agricoltori”.

Da sempre, in ogni test che pubblichiamo, precisiamo che le sostanze rilevate sotto la soglia di 0,01 mg/kg sono considerate tracce che comunque vengono rilevate, tanto è vero che i laboratori con cui collaboriamo ci forniscono il loro valore esatto della sostanza.
Sottolineiamo più volte che si tratta di prodotti che rientrano nei limiti di legge e, di fatto, hanno un buon livello di sicurezza, ma non possiamo non evidenziare la differenza, ad esempio, tra un’insalata che contiene soltanto una traccia di pesticida, come la Barduca bio, e un prodotto che ne contiene 8 (tra tracce e residui), come l’insalata in busta Consilia.

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Aggiungiamo anche che le presenze di pesticidi sempre sotto il limite di legge, per quanto rassicuranti, si prestano anche a un’interpretazione meno benevola, specie quando si tratta di diversi fitofarmaci con la stessa azione.

Come ha spiegato l’esperto di agricoltura biologica Roberto Pinton si tratta di “un artificio tecnico, praticamente un trucco utilizzato dai produttori per evitare che una stessa sostanza si accumuli e superi il limite di legge”. In poche parole invece che utilizzare quantità maggiori di un unico pesticida, se ne usano diversi, magari con la stessa funzione, per ottenere lo stesso risultato, restando sotto i limiti di legge, attualmente previsti per le singole sostanze e non per la conta totale. Infatti, “in commercio ci sono già dei formulati che combinano diversi principi attivi per ottenere un risultato efficace”.

Sull’igiene qualcosa non va

E veniamo all’ultimo punto sollevato dall’Unione italiana food in merito alla carica totale di microrganismi, su cui non sono previsti limiti di legge. “Il superamento di alcune linee guida prese a riferimento – essendo del tutto arbitrarie – non significa in alcun modo che il consumatore corra dei rischi nel consumare i prodotti di IV Gamma” scrive l’associazione di categoria.

Come abbiamo scritto nel servizio, sotto la voce igiene abbiamo raccolto una serie di analisi microbiologiche e la notizia positiva è che sono risultati sempre assenti i batteri più pericolosi come listeria, salmonella, stafilococchi ed escherichia coli. I prodotti analizzati quindi sono assolutamente sicuri, ma abbiamo misurato anche il totale dei microrganismi. A questo proposito, non essendoci limiti di legge, abbiamo utilizzato alcuni valori guida (come abbiamo fatto anche in altri test) indicati dal Comune di Torino per la fornitura di mense pubbliche. Tali linee guida indicano per i microrganismi (aerobi mesofili) un range compreso tra 5 e 50 milioni di unità e per i coliformi tra 1.000 e 10.000. Con questi paletti sarebbero accettabili solo due insalate, le valeriane Todis e Conad, in cui la presenza dei microrganismi si ferma a 18 milioni e 35 milioni. All’opposto troviamo le insalate Consilia ed Esselunga che hanno registrato i valori più elevati, rispettivamente 500 milioni e 440 milioni di microrganismi. Per i coliformi, invece, abbiano trovato valori bassi nei prodotti Esselunga e Lidl (rispettivamente 64 e 120 mg/kg), e all’opposto molto alti nelle insalate Barduca e Todis (rispettivamente 5.600 e 5.320 mg/kg).
Di fronte a questi dati, che fotografano quanto meno una differenza notevole tra i prodotti, gli esperti che abbiamo consultato, tra cui il professore di microbiologia alimentare dell’Università di Teramo, Antonello Paparella, e il professore Enzo Spisni, che dirige il laboratorio di Fisiologia traslazionale e nutrizione all’Università di Bologna, consigliano “un ulteriore lavaggio casalingo, con acqua corrente, perché alcune tipologie di batteri crescono anche in atmosfera priva di ossigeno”.
Dal laboratorio che ha effettuato le analisi ci confermano che “anche se non sono normati questi microrganismi, in particolare i coliformi, sono indice di scarsa igiene e non dovrebbero trovarsi in questi prodotti, altrimenti significa che qualcosa, nelle operazioni di pulizia e confezionamento, non ha funzionato. È normale che nelle mense aziendali o in quelle scolastiche, dove gli utenti sono i bambini, ci sia una maggiore attenzione all’igiene e vengono presi come riferimento standard di sicurezza più severi per evitare rischi di salute pubblica”.
Anche al di fuori dell’Italia, in Germania, vengono indicati questi valori guida. In particolare la Società tedesca di igiene e microbiologia indica come accettabili valori di coliformi compresi tra 1000 e 10.000 per grammo, che sono esattamente in linea con i valori di riferimento presi in considerazione nel nostro test.