È quanto emerge dalla relazione della Commissione ecomafie che ha anche scoperto come dietro questo mercato di shopper biodegradabili e compostabili truccati non ci sono sono piccoli laboratori clandestini ma spesso gli stessi siti produttivi che realizzano le plastiche biodegradabili e compostabili
L’obbligo di utilizzo di shopper monouso biodegradabili e compostabili in Italia c’è da dal 2018 ma è ancora ben lontano dall’essere rispettato. Tutt’altro. Secondo la Commissione ecomafie che ha presentato una relazione pochi giorni fa, ancora 4 buste su 10 non sono a norma.
Un problema più volte testimoniato negli scorsi anni da diversi sequestri delle forze dell’ordine ma a quanto pare senza che sanzioni e denunce scoraggiassero questo fiorente mercato parallelo. Gli accertamenti, infatti, colpivano il commercio della busta “illecita”, ma non interrompevano la filiera di approvvigionamento dal produttore al commerciante al dettaglio.
Per le forze dell’ordine è stato dunque necessario integrare l’attività di verifica del
commercio al dettaglio con un’essenziale e preliminare attività di osservazione, controllo e pedinamento dei soggetti collegati e coinvolti in ciascun passaggio dell’attività di commercio per ricostruire la filiera di distribuzione sia a livello di vendita all’ingrosso che a livello di produzione. Un’attività condotta attraverso acquisizioni documentali audizioni e missioni nonché attivazione di protocolli di intesa con Carabinieri, Polizia Locale, Assobioplastiche, ecc.
Gli shopper fuorilegge e la produzione “parallela”
A produrre questi sacchetti, hanno scoperto in diversi casi gli inquirenti, non sono piccoli laboratori clandestini, ma gli stessi siti produttivi che realizzano le plastiche biodegradabili e compostabili.
Esemplare l’operazione condotta il 7 aprile 2022 quando durante un sopralluogo presso la ditta Nuova Cartoplastica srl nel comune di Caivano (Napoli) sono stati trovati e sequestrati gli shopper illegali. Il titolare dell’azienda aveva ammesso la produzione di una parte residuale di shopper non conformi alla normativa italiana frutto della richiesta del mercato a conferma di quanto già evidenziato nelle precedenti annotazioni ovvero che le fabbriche che producono i sacchetti vietati dalla legge si nascondono, nella maggior parte dei casi, dietro un’attività lecita, quindi provvista di tutte le autorizzazioni necessarie e fiscalmente in regola.
La rete di vendita ai commercianti
Le forze dell’ordine hanno anche appurato che tutti i commercianti avevano acquistato gli shopper da persone che, sistematicamente, si presentavano in modo anonimo presso il loro negozio con mezzi propri, divisi per quartiere, senza rilasciare ricevute di pagamento, fatture o qualunque documento di tracciabilità degli shopper.
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I rischi per chi li mette in commercio? Poca cosa
I rischi per chi viola la legge in questo senso non sono del resto tali da scoraggiare questo business che la Commissione ecomafie definisce frutto di un’attività ben organizzata. Di fatto, per chi viola o elude la legge sulle borse in plastica è prevista una sanzione amministrativa che va dai 2.500 a 25.000 euro, elevabili fino a 100.000 euro se la violazione riguarda quantità ingenti di borse di plastica o un valore della merce superiore al 10 per cento del fatturato del trasgressore.
Decisamente più gravi, invece, le responsabilità per chi applica alle buste una etichetta “biodegradabile – compostabile” non corrispondente alle caratteristiche del materiale di cui è costituita la busta. In questi casi il produttore è perseguibile penalmente, incorrendo nella fattispecie di “frode nell’esercizio del commercio” (art. 515 del codice penale)