Una pesante accusa arriva contro la catena di abbigliamento Zara. Secondo una class action da 5 milioni di dollari, i cui contenuti sono stati svelati in esclusiva dal quotidiano britannico Daily Mail Online, è stata avviata negli Usa per richiede il risarcimento da parte di milioni di consumatori americani che sarebbero stati vittima di in una maxi truffa sui prezzi. Secondo l’accusa, il gigante spagnolo di vendita al dettaglio, avrebbe “ingannato” i consumatori degli Stati Uniti attraverso il cosiddetto meccanismo “bait-and-switch”, che porterebbe gli acquirenti a pagare ben oltre l’importo indicato.
Il “trucco” Bait and switch
In primo luogo, Zara USA Inc, individuerebbe il prezzo dell’abbigliamento solo in euro, che è già di per sè fonte di confusione per molti consumatori, tanto da attirarli facilmente.Ma come se non bastasse – il legale sostiene – non solo lo stesso prodotto è venduto per un importo sostanzialmente più elevato in dollari, ma è anche pagato in eccesso rispetto al vero importo convertito, se la valuta dovesse essere convertita utilizzando quel giorno i tassi di cambio stranieri. Il secondo meccanismo, risiederebbe nella procedura di cover-up dei prezzi (copertura dei prezzi) – in cui il prezzo in euro è coperto con un adesivo da quello in dollari. In quei casi, l’importo in dollari è quasi sempre applicato in forma di etichetta sul prezzo in euro stampato su quella originale. La class action sostiene che l’importo in dollari è molto al di sopra del vero importo convertito se il prezzo di euro fosse stato correttamente convertito in dollari. Secondo il dossier da 26 pagine, Zara sta violando le leggi degli Stati e quella federale per attirare i consumatori a sé utilizzando queste tattiche basate sulla confusione determinata dalla valuta estera e poi li inganna nel pensare che stanno pagando di meno.
Tutto parte da un acquisto
La causa è stata presentata in California dallo studio legale Geragos & Geragos per conto di un uomo chiamato Devin Rose e potenzialmente rivolta a milioni di altri clienti contro Zara USA Inc.Zara, la cui storia commerciale ha avuto inizio nel 1975, è un marchio leader della moda globale con più di 2.100 punti vendita in 88 paesi, mentre ad oggi il gruppo vanta 71 negozi Zara nei soli Stati Uniti. L’azione legale sostiene che Rose è stata attratta dal basso costo delle camicie, ciascuna delle quali indica un prezzo di euro 9,95 sul suo cartellino. Ma Rose ha potuto appurare che per le camicie in questione, per il suo sgomento, era stato effettivamente addebitata la cifra di 17,90 dollari per ciascuna di essi. Ha subito messo al corrente il cassiere di questo il quale gli aveva riferito che la differenza di prezzo è dovuta al tasso di conversione tra euro e dollari.Allo stesso tempo, un altro cliente ha anche sollevato la stessa questione e gli era stata data la stessa spiegazione. L’atto di citazione presentato rileva che al momento in cui Rose ha acquistato le magliette, il tasso di cambio euro-dollaro attuale avrebbe comportato che il costo di euro 9,95 a camicia sarebbe dovuto essere di circa 11,26 dollari ciascuna. Invece, Zara si sarebbe fatto pagare 17,90 dollari per capo – con un margine di profitto di quasi il 60%. La class action è stata presentata venerdì scorso presso la Corte Federale della California, Distretto Centrale. Ben Meiselas, avvocato dello studio Geragos & Geragos, ha detto al Daily Mail Online: “Siamo fiduciosi che questa class action costringerà Zara a fermare le sue pratiche tariffarie illegali di aumento sostanzialmente superiore a quello dei prezzi indicato sulle targhette dei suoi vestiti, che, in media, ha determinato i consumatori americani a pagare dai 5 ai 50 dollari in più per ogni articolo, e miliardi di dollari in totale”.
La difesa dell’azienda
Mentre un portavoce di Zara ha detto: “Zara USA nega con veemenza qualsiasi accusa che sostiene che l’azienda attui pratiche tariffarie ingannevoli negli Stati Uniti. Anche se non abbiamo ancora risposto alla denuncia contenente queste affermazioni infondate, siamo orgogliosi del nostro impegno fondamentale per la trasparenza e onestà, condotta etica con i nostri stimati clienti”. Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, a proposito ricorda come “il modello statunitense di class action, certamente più efficiente di quello italiano, può servire comunque da una parte a controbilanciare lo strapotere delle multinazionali rispetto a quello dei piccoli consumatori ed utenti, anche attraverso il ricorso al danno punitivo ed alla conciliazione e dall’altra a costituire un fondamentale deterrente proprio avverso a pratiche commerciali non corrette a danno della collettività”.
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