Pfas in Veneto, le motivazioni delle condanne: Miteni sapeva ma ha continuato ad inquinare

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Miteni era a conoscenza dell’inquinamento da Pfas in Veneto, ma ha continuato a produrre le sostanze dannose per la salute senza avvertire le istituzioni. I giudici di Vicenza hanno depositato le motivazioni che hanno portato alla condanna di 11 manager

 

Miteni era a conoscenza dell’inquinamento da Pfas in Veneto, ma ha continuato a produrre le sostanze dannose per la salute senza avvertire le istituzioni. I giudici di Vicenza hanno depositato le motivazioni che hanno portato alla condanna di 11 manager. Il profitto davanti alla salute di centinaia di migliaia di abitanti del triangolo tra Vicenza, Verona e Padova in cui insiste l’enorme falda acquifera contaminata. Per questo, lo scorso 26 giugno la Corte d’Assise di Vicenza ha condannato i dirigenti di Miteni e delle multinazionali che negli anni interessati hanno detenuto la proprietà dello stabilimento di produzione di sostanze perfluoroalchiliche, disponendo risarcimenti milionari. Oltre duemila pagine, con con cui la giuria popolare è arrivata alla decisione finale dopo oltre 130 udienze e un processo che è  durato 4 anni.

Il principio di precauzione negato

Secondo i giudici, gli imputati sapevano che i Pfas inquinavano almeno dal 2009, mentre l’Arpav lo avrebbe scoperto solo nel 2013. Quattro anni in cui, le sostanze cancerogene e interferenti endocrine hanno continuato a finire nei rubinetti delle case degli abitanti della zona. Secondo la Corte, anche se all’epoca i Pfas non erano regolamentati, “Il diritto ambientale della prevenzione della tutela non si esaurisce con la disciplina sulle bonifiche, ma è molto più articolato e completo, in quanto per le sostanze non normate vieta tassativamente la loro immissione significativa e misurabile nell’ambiente dove prima queste non c’erano e ne impone la drastica e totale rimozione”.

Motivazioni soprattutto economiche

Per la giuria popolare, inoltre, come riporta il Giornale di Vicenza, molte informazioni vennero “occultate” dagli imputati, che ne fornirono, ad inquirenti ed enti di controllo, solo alcune. Da una parte un “occultamento sistematico”, dall’altra l’installazione di una barriera idraulica. La motivazione che ha mosso la Miteni verso questo atteggiamento, era essenzialmente economica: “I costi necessari per affrontare seriamente l’inquinamento sarebbero stati ingenti e avrebbero inciso pesantemente sui bilanci. La scelta di non intervenire viene quindi letta anche come una decisione orientata alla convenienza economica”.

Le nuove sostanze: GenX e C6O4

Una delle parti più pesanti, dal punto di vista delle accuse, riguarda la decisione dei vertici dell’azienda di iniziare a produrre nuove molecole, come GenX e C6O4, dopo aver messo fuori produzione alcuni Pfas poi vietati dalla Comunità europea per i danni alla salute, come Pfoa e Pfos, “in una fase in cui il sito era già gravemente compromesso”, in periodo in cuii l’inquinamento da Pfas storici “è già noto e documentato”.

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Le condanne

La Corte aveva stabilito anche i risarcimenti per oltre 300 parti civili, fra privati ed enti pubblici: al Ministero dell’Ambiente è stato riconosciuto un risarcimento di 58 milioni di euro, alla Regione Veneto 6,5 milioni, all’agenzia per l’ambiente Arpav 800mila euro, Per le singole persone, in particolare anche le “Mamme no Pfas”, i risarcimenti vanno dai 15 ai 20mila euro. Così come sono stati ristorati Comuni, società idriche e Provincia di Vicenza.

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