Lo studio dell’Università di Padova: così i Pfas riducono gli anticorpi nei bambini vaccinati

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Una ricerca dell’Università di Padova conferma l’impatto dei Pfas sul sistema immunitario pediatrico, chiarendo come l’esposizione al Pfoa riduca fino al 45% la produzione di anticorpi fondamentali per la memoria vaccinale

 

Un nuovo studio dell’Università di Padova rafforza le preoccupazioni riguardo agli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), ormai noti inquinanti ambientali ampiamente diffusi in tutto il mondo, sul sistema immunitario umano, contribuendo a chiarire i meccanismi che potrebbero spiegare la ridotta risposta ai vaccini osservata nei bambini esposti a queste sostanze. Le principali agenzie sanitarie internazionali hanno infatti identificato proprio l’indebolimento della risposta vaccinale in età pediatrica come l’effetto più documentato e rilevante associato ai Pfas nell’uomo.

Lo studio sul sistema immunitario dei bambini

I ricercatori hanno analizzato in laboratorio il comportamento dei linfociti B – le cellule che nel corso della loro maturazione divengono capaci di produrre gli anticorpi – dopo l’esposizione al Pfoa, uno dei Pfas più diffusi. I campioni arrivavano da sette donatori di sangue sani che non erano stati esposti a Pfas, l’equipe medica ha poi esposto le cellule ai Pfasin laboratorio. Lo studio è durato quasi due anni, dal giugno 2024 all’ottobre di quest’anno.

La mortalità da Covid nelle aree rosse

“Delle indicazioni ci vengono dalle recenti esperienze del Covid-19, per cui sia in America che nel Veneto, si è osservato che in quei soggetti residenti in aree inquinate ci fosse una maggiore mortalità da Covid-19 stesso” spiega Andrea Di Nisio, professore dell’università Unipegaso e collaboratore di Carlo Foresta, uno dei massimi esperti di Pfas ed effetti sull’organismo umano, a cui ha dedicato numerose ricerche con l’Università di Padova.

Il meccanismo svelato

Secondo i risultati ottenuti, i linfociti B mantenuti in coltura ed esposti allo Pfoa non solo proliferano e si attivano meno a seguito dello stimolo con fattori di crescita fisiologici, ma dimostrano anche un rallentamento nella maturazione. Questo determina una produzione significativamente inferiore di anticorpi, ed in particolare di immunoglobuline G, gli anticorpi che identificano la memoria immunitaria in grado di fornire una protezione duratura dopo le vaccinazioni che vengono praticate durante l’infanzia. “La riduzione osservata nella produzione di anticorpi, tra il 30% e il 45%, è coerente con i risultati degli studi epidemiologici che negli ultimi anni hanno documentato risposte vaccinali più deboli in bambini che vivono in aree con alti livelli di Pfas” spiega Di Nisio. Già in diverse regioni del Nord Europa e negli Stati Uniti era emerso come i bambini residenti in aree con maggiore esposizione al Pfoa avessero concentrazioni di anticorpi più bassi dopo i richiami per tetano, difterite, morbillo e altre vaccinazioni di routine. Il nuovo studio padovano, realizzato da Carlo Foresta e Francesco Cinetto dell’Università di Padova in collaborazione con i Luca De Toni e Andrea Di Nisio, fornisce una tessera importante del puzzle: mostra infatti come il Pfoa interferisca direttamente con le cellule che generano gli anticorpi, alterando meccanismi fondamentali per la risposta immunitaria.

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La tavola rotonda

I risultati della ricerca sono stati presentati alla tavola rotonda “Esposizione a Pfas e manifestazioni cliniche: strategie di intervento sanitario”, che si è tenuta il 16 dicembre 2025 al Senato, organizzato su iniziativa del Presidente della 7ma commissione permanente Senatore Roberto Marti, a cui hanno partecipato, tra gli altri, il presidente del Cnr, Andra Lenzi e la Direttrice Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), Antonia Ricci.

Foresta: Pfas un rischio concreto per i bambini

“Questo studio rappresenta un passo avanti decisivo nella comprensione degli effetti dei Pfas sul sistema immunitario umano», dichiara il professor Carlo Foresta. “Da tempo osserviamo, attraverso le indagini epidemiologiche, come i bambini esposti a elevate concentrazioni di queste sostanze mostrino risposte vaccinali ridotte, ma mancava una dimostrazione chiara dei meccanismi cellulari coinvolti”. Secondo Foresta, “l’impatto dei Pfas non è un’ipotesi teorica, ma un rischio concreto per la salute dei più piccoli. È un’evidenza che deve richiamare l’attenzione delle istituzioni e della comunità scientifica: comprendere i meccanismi biologici è essenziale per definire strategie di prevenzione e intervento. La nostra speranza è che questo lavoro contribuisca a rafforzare la consapevolezza sulla necessità di limitare l’esposizione a questi composti e di tutelare con maggiore determinazione la salute dei bambini”. Riferendosi alla politica, Foresta ha aggiunto amaro: “I Pfas rimangono purtroppo qualcosa di cui si parla e per cui non si deve agire”.

Il Tfa, una sostanza ancora troppo poco approfondita

Durante il convegno in cui sono stati anticipati i dati, si è sottolineato la necessità di intervenire con maggior decisione sull’acido trifluoroalchilico (Tfa), sempre più pervasivo, e quasi per nulla normato: il Salvagente lo ha trovato in dosi massicce dentro quindici bottiglie di prosecco. Secondo Luca Lucentini, del Centro nazionale Sicurezza delle Acque (CeNSiA) dell’Istituto superiore di sanità, “Il problema è che il Tfa è un composto altamente persistente e molto mobile nell’acqua. Passa facilmente dalla falda acquifera al terreno, e a differenza delle altre sostanze perfluoroalchiliche, non esistono attualmente dei metodi di rimozione dall’acqua”.

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