
Un nuovo rapporto dell’Ocse punta il dito sulla fragilità del sistema sanitaria domiciliare in Italia: distribuzione diseguale dei servizi, carenza di personale formato, sistemi informativi che non comunicano tra loro, un’eccessiva dipendenza dalla buona volontà degli operatori
Un nuovo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) punta il dito sulla fragilità del sistema sanitaria domiciliare in Italia. Il focus “Verso un’integrazione strutturata e sistemica delle cure domiciliari per non autosufficienti in Italia” mette in luce i punti critici del nostro sistema.
Un paese che invecchia rapidamente
L’Italia è oggi uno dei Paesi più anziani dell’intera area Ocse (38 paesi). Nel 2025 quasi un quarto della popolazione ha più di 65 anni, e gli over 80 rappresentano il 4,1%. Le proiezioni al 2050 indicano un’ulteriore impennata, fino al 37% e al 15% rispettivamente. L’invecchiamento non porta con sé solo un aumento della longevità, ma anche una diffusione crescente di limitazioni funzionali e patologie croniche. L’Ocse rileva come la domanda di assistenza continui a crescere mentre la risposta del sistema rimane discontinua, frammentata e insufficiente.
Un sistema frammentato e insufficiente
Il rapporto traccia un quadro chiaro: l’offerta di servizi domiciliari in Italia è caratterizzata da divisioni profonde tra sanitario e sociale, competenze distribuite tra Stato, Regioni e Comuni e una moltitudine di attori privati e del terzo settore che operano senza un’effettiva regia comune. La conseguenza è una forte disuguaglianza territoriale, con cittadini che ricevono livelli di assistenza molto diversi a seconda del luogo in cui vivono. A colmare le lacune restano soprattutto le famiglie, che garantiscono gran parte del sostegno quotidiano, sostenute quasi esclusivamente dall’Indennità di accompagnamento e da servizi spesso troppo deboli per rispondere a bisogni complessi.
Modelli di integrazione: cosa fanno gli altri paesi
Diversamente dall’Italia, diversi Paesi, dal Giappone alla Danimarca, dall’Inghilterra all’Australia, hanno sviluppato sistemi di integrazione tra sociale e sanitario che, pur mantenendo strutture distinte, riescono a coordinare meglio governance, finanziamenti e interventi. Il modello che emerge con maggiore coerenza è quello della “ricomposizione”: non un accentramento totale né una somma disordinata di sperimentazioni locali, ma una struttura in cui ruoli e funzioni differenti vengono armonizzati attraverso standard comuni e strumenti condivisi. La lezione comparata mostra che integrazione significa soprattutto continuità e chiarezza delle responsabilità.
Il quadro italiano visto dai territori
Le evidenze raccolte dall’Ocse su 14 territori italiani confermano quanto la situazione sia eterogenea. Professionisti e amministratori descrivono difficoltà ricorrenti: l’assenza di un modello di governance stabile, la carenza di personale formato, sistemi informativi che non comunicano tra loro, un’eccessiva dipendenza dalla buona volontà degli operatori e una distribuzione diseguale dei servizi che penalizza soprattutto le aree più fragili. Ne emerge un ecosistema in cui, nonostante l’impegno dei singoli, le soluzioni sono spesso episodiche, poco strutturate e incapaci di garantire una presa in carico davvero integrata.
La proposta Ocse: un ciclo integrato di cure domiciliari
Il cuore del rapporto è la definizione di un modello italiano di cure domiciliari integrate. Il documento suggerisce un sistema basato su un accesso unico, una valutazione condivisa e un progetto assistenziale personalizzato capace di integrare interventi sanitari, sociali, riabilitativi e comunitari. Il cambiamento richiesto è culturale oltre che organizzativo: non più una somma di prestazioni isolate, ma un percorso continuo, gestito da équipe multidisciplinari e sostenuto da risorse combinate tra fondi sanitari, sociali, familiari e reti comunitarie. Per rendere questo modello operativo, l’Ocse indica la necessità di un quadro normativo chiaro, di sistemi informativi interoperabili, di tecnologie accessibili come la telemedicina e di una forza lavoro adeguatamente formata e riconosciuta.









