Lavoro irregolare nella moda: faro Antitrust su Armani e Dior

ANTITRUST ARMANI

Dopo l’inchiesta di Milano, l’Authority ha avviato un’istruttoria per presunta pratica commerciale scorretta nei confronti dei due prestigiosi marchi: nella catena di approvvigionamento salari bassi, condizioni igieniche precarie “in contrasto con i livelli di eccellenza della produzione vantati dalle società”

Gli alti livelli di eccellenza e di eticità vantati da i prestigiosi marchi dell’alta moda non corrisponderebbero alle condizioni di lavoro – salari bassi e scarso igiene e sicurezza nei laboratori dei fornitori – della catena di approvvigionamento. Dopo l’inchiesta della Procura di Milano, che nell’aprile scorso ha posto sotto amministrazione giudiziaria per una delle società del gruppo Armani, ora è l’Antitrust ad aprire un’istrutturia nei confronti di Armani e Dior per presunta pratica commerciale scorretta.

Le due prestigiose maison potrebbero aver ingannato i consumatori enfatizzando, scrive l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, “l’artigianalità e l’eccellenza delle lavorazioni. A fronte di tali dichiarazioni, per realizzare alcuni articoli e accessori di abbigliamento, le società si sarebbero avvalse di forniture provenienti da laboratori e da opifici che impiegano lavoratori che riceverebbero salari inadeguati. Inoltre opererebbero in orari di lavoro oltre i limiti di legge e in condizioni sanitarie e di sicurezza insufficienti, in contrasto con i livelli di eccellenza della produzione vantati dalle società”.

Per questo motivo l’Agcm ha acceso un faro “anche a seguito dell’attività svolta dalla Procura e dal Tribunale di Milano” su “alcune società del Gruppo Armani (Giorgio Armani S.p.A. e G.A. Operations S.p.A.) e un’istruttoria nei confronti di alcune società del Gruppo Dior (Christian Dior Couture S.A., Christian Dior Italia S.r.l. e Manufactures Dior S.r.l.) per possibili condotte illecite nella promozione e nella vendita di articoli e di accessori di abbigliamento, in violazione delle norme del Codice del Consumo”.

In entrambi i casi, prosegue ancora l’Authority in una nota, le società potrebbero avere presentato dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere, in particolare riguardo alle condizioni di lavoro e al rispetto della legalità presso i loro fornitori.