Sulla morte del Lago di Vico l’inerzia colpevole delle istituzioni

LAGO DI VICO

La sentenza definitiva del Consiglio di Stato dà ragione a ClientHeart e Lipu, conferma l’inerzia dei responsabili della gestione idrica del territorio e impone alla Regione Lazio di intervenire sul lago “morente” e sulla non potabilità dell’acqua. La storia di un territorio devastato da coltivazioni intensive di noccioleti.

 

Una sentenza definitiva del Consiglio di Stato, ha confermato l’inerzia delle autorità responsabili della gestione idrica e dei Comuni di Ronciglione e Caprarola sullo stato in cui versano le acque di quel territorio e del Lago di Vico in evidente stato di eutrofizzazione e ha obbligato la Regione Lazio ad esercitare i poteri sostitutivi, per garantire la tutela delle acque destinate al consumo umano.

Oltre ai problemi di eutrofizzazione del lago – che molti definiscono morente –, frutto di questa inerzia è anche la non potabilità dell’acqua del servizio idrico del territorio.
Numerosi studi documentano la situazione, già da tempo preoccupante, le cui cause sono da ricercare nelle alghe rosse che fioriscono in determinati periodi dell’anno e tolgono ossigeno al lago, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza della flora e della fauna, e rilasciano sostanze chimiche cancerogene e tossiche, che non possono essere rimosse mediante processi di purificazione.
Responsabili del sovraccarico di nutrienti che favorisce la presenza delle alghe sarebbero i fertilizzanti utilizzati nelle aree agricole che circondano il lago caratterizzati per lo più dalla coltivazione intensiva delle nocciole. Le piantagioni coprono infatti più di 21.700 ettari nella regione, presentandosi lungo le sponde del Lago di Vico come una monocultura.

“Oltre a confermare e condannare l’inerzia delle autorità competenti, che si è protratta per anni, nel prevenire e contrastare il fenomeno della fioritura delle alghe tossiche – afferma Francesco Maletto, avvocato di ClientEarth esperto di diritto dell’ambiente e della biodiversità – la decisione riconosce indirettamente gli effetti deleteri che le monocolture possono avere sugli ecosistemi, che finiscono per riverberarsi sulle comunità locali, le quali, pur beneficiando economicamente di tali attività, ne risultano in ultima analisi gravemente danneggiate, insieme alla biodiversità”.

“A fronte delle crisi ambientali senza precedenti che stiamo vivendo – aggiunge Giorgia Gaibani responsabile Natura 2000 e Difesa del territorio della Lipu – è fondamentale che le autorità prevengano l’ulteriore degrado del nostro territorio ponendo le direttive europee a tutela della salute umana e degli ecosistemi al centro delle loro politiche”.

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La Regione Lazio ha ora 60 giorni di tempo per attivarsi, dando seguito al giudizio espresso dal Consiglio di Stato in materia di ‘Acqua potabile’.

Il servizio di gennaio del Salvagente

Cerchiamo di riavvolgere la vicenda attraverso il del Salvagente di gennaio 2023 firmato da Maurizio Bongioanni.

La mattina del 17 agosto, gli abitanti che affacciano sul Lago di Vico, nel viterbese, si sono svegliati e hanno scoperto una lunga striscia di schiuma bianca sulle acque del lago. Non era la prima volta che succedeva, ma in quell’occasione la quantità di schiuma faceva davvero impressione. D’estate il lago è solito essere pieno di turisti ma quella mattina nessuno faceva il bagno, interrogandosi sulle ragioni dello strano effetto. Meno stupiti, invece, i residenti: chiunque abiti questa zona lo sa, la colpa è dei fitofarmaci impiegati nei noccioleti coltivati nell’area.

Nel paese di Ronciglione non ci sono noccioleti ma, come ha subito denunciato l’assessore allo Sviluppo territoriale Sergio Orlandi sul Corriere di Viterbo, “la quasi totalità dei noccioleti si trova nel comune di Caprarola, dove i proprietari sappiamo che spargono a rotta di collo”. E i residui finiscono nelle acque del vicino lago. Senza che la Regione Lazio sia mai intervenuta per porre limitazioni all’uso di fitofarmaci.

Un problema non solo per chi in quell’agosto torrido decide comprensibilmente di non fare il tanto sospirato bagno nel lago. L’acqua dei rubinetti delle case dei comuni di Caprarola e Ronciglione proviene infatti dal Lago di Vico e viene subito dichiarata dalla pubblica amministrazione non potabile. Tra le cause anche le tossine rilasciate nel lago dalle alghe rosse, la Phlantotrix rubescens, dannose per l’ambiente e, se ingerite, per la salute delle persone. Ancora una volta, i responsabili del sovraccarico di nutrienti che favorisce la presenza delle alghe sarebbero i fertilizzanti utilizzati nelle aree agricole che circondano il lago caratterizzati per lo più dalla coltivazione intensiva delle nocciole: le piantagioni coprono più di 21.700 ettari nella regione, presentandosi lungo le sponde del Lago di Vico come una monocultura.

Il problema delle riserve idriche compromesse dai noccioleti viterbesi era già stato affrontato dal Salvagente nel 2019: in un’inchiesta firmata da Rossella Cravero e Carolina Peciola, si parlava di alghe rosse, cianobatteri, acque non più potabili e suolo a rischio di desertificazione come alcuni degli effetti dell’agricoltura intensiva che si è creata intorno alla coltivazione delle nocciole. Da allora le cose non sono cambiate, anzi, sono addirittura peggiorate. “Il lago sta morendo a causa dell’eutrofizzazione delle acque, una sovrabbondanza di azoto e fosforo causata dall’uomo, in particolare derivante dalle attività tipiche di un’agricoltura intensiva”, ci racconta Giuseppe Nascetti, professore dell’Università degli studi della Tuscia, che da 30 anni studia le condizioni di salute dal lago.

“Si tratta di una caldera vulcanica, quindi è naturale che tutte le acque dei dintorni scivolino nel lago. Di per sé non sono sostanze inquinanti ma vanno ad aumentare il carico interno, ovvero le sostanze nutritive del lago: si tratta di un processo innaturale causato dall’uomo con la conseguenza che oggi sotto i 20 metri di profondità il lago è anossico (il lago è profondo quasi 50 metri, nda), ovvero non ha più vita”. Non è semplice constatare quanto tempo di vita rimane al lago, spiega il professore, anche perché questa situazione dura per 6-7 mesi l’anno, poi i venti rimescolano le acque e il lago riprende parzialmente vita. Quel che è certo è che la situazione sta progressivamente peggiorando. “Se non si prendono le dovute decisioni politiche il lago morirà. Il Lago di Vico è, nel suo piccolo, l’esempio di come l’uomo nel nostro modello di sviluppo non intenda cambiare fino a voler produrre sempre di più, causando la morte della natura”.

Per arginare il problema si sta tentando di rinaturalizzare le sponde, creando delle vasche di fitodepurazione che filtrino le acque provenienti dalle colline. “Analizzando le acque delle vasche si scopre che hanno 40 volte la quantità di azoto presente nel lago. L’ennesima dimostrazione dell’uso dei fitofarmaci nelle coltivazioni intorno”, conclude il professore.

Su Wikipedia, il Lago di Vico gode invece di ottima salute. Alla voce dedicata si legge, infatti, che “le cianotossine prodotte da alcune alghe, in particolare dalla Phlantotrix rubescens, le cui fioriture algali sono state favorite dalle sostanze usate per concimare i terreni agricoli, negli ultimi anni non mostrano livelli che destano preoccupazione”. Eppure la dichiarazione linka a un comunicato stampa datato 2018 e firmato dall’Isde, Associazione medici per l’ambiente, che dice esattamente il contrario e spiega come la compromissione della qualità delle acque del Lago di Vico è invece purtroppo nota da anni e oggetto di studi, ricerche e progetti da parte di enti e università, tra cui il Cnr, l’Istituto superiore di Sanità e, appunto, l’università della Tuscia del professor Nascetti.

“C’è un conflitto tra territorio e grandi produttori di nocciole che non riusciamo a risanare, ormai sempre più evidente a tutti. Una situazione che non è più sostenibile” ci spiega Andrea Ferrante del Biodistretto della via Amerina e delle Forre, rete composta da 13 comuni in provincia di Viterbo. “Il nostro territorio sconta una scarsa propensione alla trasformazione, questa è la nostra debolezza. La filiera della nocciola in questa zona è concentrata sulla produzione per ettaro, mentre tutto il resto della filiera finisce all’estero, come la trasformazione. Prendiamo l’esempio dell’olio: il potere di contrattazione rimane in mano all’agricoltore perché raccoglie l’oliva e la trasforma. Invece noi è come se vendessimo l’oliva. È esattamente questo che facciamo: se produciamo 30 quintali per ettaro e vendiamo la frutta in guscio il nostro obiettivo diventa massimizzare il prodotto per ettaro, utilizzando tutte le risorse a disposizione, fitofarmaci compresi. Se invece concentrassimo la filiera in loco potremmo aumentare il valore aggiunto del prodotto”.

La produzione di nocciole è aumentata in tutto il Lazio negli ultimi 50 anni. La regione è stata in anni recenti coinvolta anche nel “Progetto nocciola Italia”, nato in seno al Gruppo Ferrero, colosso dolciario, attraverso la controllata Ferrero Hazelnut Company. Nell’intento di garantire alla produzione della società un approvvigionamento di nocciole coltivate prevalentemente in Italia, “Progetto nocciola Italia” ha come obiettivo quello di aumentare gli ettari dedicati alla coltivazione del nocciolo del 30% entro il 2025. Significa creare dal nulla, o meglio, da un suolo prima destinato ad altro, 20.000 ettari di coltivazioni in aggiunta a quelli esistenti, ubicati principalmente nel Lazio e nella provincia di Viterbo. “Questo ha fatto sì che il mercato si concentrasse nelle mani di Ferrero. Sta crescendo la concorrenza di Loacker, ma siamo sempre punto a capo”.

Il Biodistretto (primo in Italia ad essere riconosciuto a livello di legge regionale per la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del territorio) ha messo a punto un’ordinanza adottata da tutti i Comuni che ne fanno parte, stabilendo delle linee guida per vietare il glifosato e per rendere l’agricoltura più sostenibile nel campo della corilicoltura. “Il nostro tentativo va nella direzione di dimostrare che si può fare in modo diverso”, ci racconta ancora Ferrante. “Da due anni abbiamo avviato un progetto di produzione integrata, che insomma riduca l’uso dei fitofarmaci in un rapporto dialogante con i contadini: pur di andare incontro alle loro esigenze, lavoriamo sulla calendarizzazione dei trattamenti con insetticidi. Non si tratta di fare trattamenti seguendo un calendario, ma solo quando serve. Per fare questo diventa necessario monitorare le attività ma è uno sforzo che riduce i trattamenti. Il monitoraggio non è obbligatorio: se lo diventasse, ridurremo ancora di più l’uso di pesticidi”.

Il Biodistretto ha anche sensibilizzato i comuni ad aderire a progetti di comunità energetiche per dimostrare che il territorio può garantirsi un futuro al di là della coltivazione delle nocciole. “Al centro della nostra azione c’è la biodiversità, in tutte le sue forme” afferma Famiano Crucianelli, presidente del Biodistretto. “Il nostro territorio era diversificato, non c’erano solo le nocciole”. Eppure, gli investimenti in noccioleti non tengono conto della loro sete d’acqua. Le piante di nocciola sono idrofile, nel senso che hanno bisogno di molte risorse idriche. Ma ciò avviene in un contesto dove la siccità minaccia la disponibilità d’acqua e gli abitanti del luogo assistono all’abbassamento delle falde in estate. “Di solito le nocciole vengono coltivate a un’altitudine di almeno 300 metri” riprende Crucianelli. “Invece negli ultimi anni abbiamo assistito alla comparsa di nocciole anche a 200 e 100 metri, con il risultato che il nocciolo è arrivato ad occupare il 70-75% del territorio, fino a toccare altitudini di 100 o 200 metri”.

Ora le autorità stanno addirittura espiantando ulivi secolari per far posto a nuovi noccioleti. “Cancellare gli ulivi da quest’area per trasformare le nostre terre in una monocultura – prosegue – è una scelta grave ed irresponsabile. Il sistema agricolo monoculturale è il sistema più debole nel quadro che ci verremo a trovare con i cambiamenti climatici. La biodiversità è invece specifica del Mediterraneo, non abbiamo mai avuto monocolture”.

Il Biodistretto continua a cercare la sponda dei grandi produttori, come la Ferrero. “Ferrero si dice disponibile ad affrontare i nodi della sostenibilità, della biodiversità e del recupero di aree compromesse come quella del lago. Ma è un atteggiamento retorico, una risposta non reale”, conclude il presidente del Biodistretto. “Sia chiaro che noi non stiamo facendo la guerra alle multinazionali o alle nocciole. Noi vogliamo solo un territorio godibile, che continui a essere un bene comune anche per le generazioni future, invece di essere considerato alla stregua di un limone da spremere”.