Uno studio condotto da ricercatori di prestigiose università Usa ha messo in evidenza come “la cottura ad alta temperatura della carne rossa e trasformata può danneggiare il Dna del cibo e questo aumenta il rischio mutazioni cellulari nel consumatore” favorendo l’insorgenza del cancro
Uno studio appena pubblicato sul portale scientifico Acs Pubblications, condotto da ricercatori della Stanford University, del Colorado State University e della Divisione di misurazione biomolecolare del National Institute of Standards and technology (agenzia governativa), ha messo in evidenza come “la cottura ad alta temperatura della carne rossa e trasformata può danneggiare il Dna del cibo e questo aumenta il rischio mutazioni cellulari nel consumatore” favorendo l’insorgenza del cancro.
Carne rossa e cancro: non solo nitrati-nitriti
Fino ad oggi un possibile legame tra consumo di carne rossa trasformata e insorgenza del cancro era legato alla presenza dei conservanti nitrati e nitriti o alle ammine aromatiche che si producono nella cottura. Ora invece il nuovo studio mette in evidenza una nuova fonte di rischio: le alte temperature di cottura che sarebbero in grado di alternare il Dna della carne e di conseguenza “questo danno potrebbe penetrare nel Dna cellulare mediante recupero metabolico”.
Lo studio è stato condotto sui topi, il che significa che è troppo presto per dire se gli stessi problemi potrebbero valere per gli esseri umani. Tuttavia, suggerisce un chiaro possibile legame tra il Dna danneggiato e la digestione.
“Abbiamo testato cibi cotti e crudi – scrivono gli autori dello studio – e abbiamo riscontrato alti livelli di danno idrolitico e ossidativo a tutte e quattro le basi del Dna durante la cottura. I risultati suggeriscono la possibilità di un percorso precedentemente non riconosciuto in base al quale la cottura ad alta temperatura può contribuire ai rischi genetici“.
Come è stato condotto lo studio
I ricercatori hanno preso patate, carne macinata di manzo e carne di maiale macinata, le hanno bollite e/o arrostite ad alte temperature, quindi hanno estratto campioni di Dna. Hanno scoperto che tutti avevano il Dna danneggiato. Anche bollendo i cibi, dove le temperature erano (relativamente) basse, il Dna ha subito qualche danno. Le patate hanno subito il minor danno per ragioni attualmente sconosciute, anche se i ricercatori ipotizzano che il tessuto vegetale possa fornire protezione. Tutte le forme di danno rilevate negli alimenti erano genotossiche: avevano cioè la tendenza a compromettere la funzione dei geni e causare la replicazione incontrollata delle mutazioni in modo canceroso.
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Successivamente hanno alimentato i topi con porzioni con il Dna danneggiato. Alla fine dello studio i topi hanno mostrato danni al Dna che rivestono l’intestino tenue, che è dove viene digerito molto cibo.
Una curisiosità, non marginale alla luce di questo studio: quando mangiamo una bistecca non pensiamo che sia presente il patrimonio genetico dell’animale di provenienza ma in circa 500 g di manzo c’è più di un grammo di Dna di mucca.