La spesa on line presenta il conto: scommessa persa?

spesa on line

In piena pandemia sembrava che l’acquisto e la consegna della spesa on line fossero entrati nelle abitudini degli italiani. E molte aziende avevano basato i propri investimenti su questa previsione. Ora da Gorillas a Geti fanno uno (o più) passi indietro

In Italia, la spesa on line è ancora lontana dal conquistare i consumatori, che preferiscono piuttosto andare al supermercato o nei negozi di prossimità. Lo dimostrano anche i tentativi, andati a vuoto, delle principali organizzazioni di delivery food di gestire non solo le consegne di pasti caldi o freddi ma anche di prodotti retail ossia di referenze del supermercato, attraverso i propri rider: due enormi società specializzate in quick commerce (cioè in consegne in 10 minuti), la tedesca Gorillas e la turca Getir, arrivate nel nostro paese l’anno scorso sull’onda del boom degli acquisti alimentari on line durante i vari lockdown, si preparano già a fare marcia indietro.

Gorillas lascia l’Italia

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Perché quando si tratta di acquistare il pranzo o la cena gli italiani, soprattutto nelle grandi città, si affidano ai ciclofattorini e invece quando si tratta di fare la spesa no? Le cause possono essere molteplici. Ma anche il food delivery, comunque, non sta andando come i giganti della gig economy – ovvero, dell’economia dei lavoretti – speravano. Gorillas ha annunciato che non rinnoverà il contratto ad almeno 540 dipendenti sparsi nelle città di Torino, Milano, Roma, Firenze e Bergamo. La startup, fanno sapere i sindacati, ha deciso di puntare su mercati più importanti (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna) e di abbandonare quelli meno redditizi, tra cui l’Italia, oltre alla Spagna e al Belgio.
Insomma, la spesa veloce a domicilio, con consegne garantite in dieci minuti (almeno nelle grandi città), non mette radici in Italia. E allora, quella della consegna del cibo è una bolla pronta a scoppiare?
È evidente, infatti, che questo tipo di servizio sta affrontando un periodo di seria difficoltà, fra provvedimenti normativi, tra cui una direttiva europea proposta il 9 dicembre 2021 per migliorare le condizioni di lavoro, inchieste giudiziarie, proteste di piazza e numerose vertenze legali.

Grandi volumi o nulla

Ma andiamo con ordine. I servizi di consegna non hanno investimenti di capitale (le bici, per esempio, sono messe a disposizione dai rider), e i margini sui prodotti arrivano anche al 30%. Se, nonostante questo, il business non sta in piedi, allora c’è qualcosa che non va. E forse non è solo una questione economica, forse è proprio l’idea di business a non essere sostenibile. “Intanto, per quanto riguarda il grocery (cioè prodotti alimentare e non, ndr), è chiaro che sta in piedi solo chi ha un gran volume, ad esempio Amazon”, ci spiega Daniela Ostidich, esperta di marketing e amministratrice delegata di M&T. “Ma non basta. Prendiamo il marchio Coop, un grosso attore nel mondo del retail e della Gdo, che non è riuscito a tenere in piedi un servizio evidentemente troppo costoso. E questo vale per tutti i marchi della Gdo, eccezion fatta per Esselunga, forse perché ha una penetrazione maggiore sui territori presidiati, e perché lo vive come un investimento, quindi anche se non è del tutto in pareggio in bilancio lo compensa con altre voci”.

Anche Getir si restringe

Nemmeno a Getir, che a Milano ha provato a creare una rete di dark store, cioè negozi dove vengono tenute le merci, è andata meglio. Getir, che in Italia ha circa 1.300 lavoratori di cui 800 solo nel capoluogo lombardo, ha deciso di tagliare l’organico del 14% a livello mondiale. “Una scelta dettata dall’aumento dell’inflazione e dal peggioramento delle prospettive macroeconomiche”, dicono.
Parlando di grocery, quindi, viene preferito un servizio di questo tipo: fai la spesa on line e passi a ritirarla al supermercato. “Questo perché la spedizione ti blocca a casa magari per alcune ore, oppure per altri tipi di problemi, del tipo che non c’era il prodotto scelto ed è stato sostituito, quindi la spedizione della spesa ha sempre una vaga scomodità. Molto più comodo fare la spesa e passare a ritirarla tornando a casa da lavoro”. Ma anche se prendiamo il food delivery stretto, quindi la consegna del pasto, c’è un fatto generazionale di cui tener conto. È ancora Ostidich a spiegarlo: “I maggiori clienti dei servizi delivery sono rappresentati da millennials, che hanno abitudini di acquisto non di tipo familiare e che hanno un tasso di sostituzione molto vario, quindi vanno dai cibi pronti a una spesa comunque non da dispensa, perché magari si tratta di una coppia senza figli o di un appartamento abitato da studenti”. E dal momento che questo è il tipo di pubblico su cui il servizio delivery fa più presa, “io non credo proprio che la spesa in delivery possa assumere caratteristiche di massa”.

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Le dark kitchen

Tanto che i delivery si stanno inventando di tutto pur di sopravvivere: c’è chi (per esempio Just Eat) sta pensando di aprire le dark kitchen, che potrebbero diventare l’evoluzione del food delivery. Si ordina il cibo attraverso un’app e cucine chiuse al pubblico preparano i piatti che poi vengono consegnati a domicilio. Ostidich, però, non è così convinta: “A me sembrano trovate di questi marchi per farsi comprare da dei fondi e salvare così i bilanci. È una mia considerazione personale ma questi esperimenti sono caratterizzati da un mondo fatto di prodotti, e parlo del food, di bassa qualità e di norme igienico-sanitarie scadenti. Senza parlare dell’aspetto etico che riguarda lo sfruttamento di un’ampia parte di lavoratori”.

Toccata e fuga

Per tornare alla domanda iniziale: quindi è un business che non sta in piedi? Per i sindacati dei lavoratori non ci sarebbe solo un calo delle vendite dietro la decisione di Gorillas, quanto una precisa strategia societaria. Per Deliverance Milano, sindacato metropolitano dei riders, la ragione è un’altra. Delivery Hero, di base a Berlino, ha investito oltre un miliardo di euro durante il 2021, nel processo di ricapitalizzazione nella startup tedesca Gorillas, fondamentalmente arrivando a controllarne il board, salvo poi decidere che sarebbe stato meglio disinvestire in un mercato come quello italiano perché già un’altra azienda del suo gruppo, Glovo, è uno degli attori principali a livello nazionale, “applicando un modello di business più leggero rispetto a quello della startup tedesca, che assumeva con contratti i rider, e quindi meno oneroso – e meno etico per i lavoratori – per la holding Delivery Hero”, spiegano i riders.
Insomma, Delivery Hero riprodotto lo schema già visto con Foodora nel 2018, quando la compagnia tedesca abbandonò il mercato italiano vendendo clienti, ristoranti e dati al “competitor” Glovo, abbandonando di fatto i lavoratori in mezzo alla strada. Esattamente come oggi nel caso di Gorillas. “Nel frattempo”, scrive Deliverance Milano, “si privilegia un modello di impresa tossico come Glovo, in cui il rischio d’impresa attraverso meccanismi come il cottimo e l’applicazione del contratto capestro Ugl rider, firmato da Assodelivery – associazione di settore di cui fanno parte Glovo, Deliveroo e Uber – viene spalmato sui lavoratori che restano senza le tutele della subordinazione e senza salario minimo”. Ad oggi, a parte Just Eat che ormai un anno fa ha assunto i lavoratori (anche se il sindacato metropolitano critica la società perché abusa dei contratti part time chiedendo di lavorare anche 10 ore e rifiuta di applicare gli aumenti salariali previsti dal rinnovo del Ccnl Logistica), Glovo, Deliveroo e Uber continuano ad applicare il contratto Ugl, “un contratto pirata”, dicono da Deliverance, in quanto deroga dalla legge 128, la cosiddetta legge rider, “e insistono nel dichiarare che si tratta di lavoro autonomo e non riconoscono un salario minimo in linea con i minimi tabellari del V livello della Logistica e l’introduzione di una paga base, come vorrebbe invece la norma”.
Dopo il boom della pandemia del 2021, tutto il settore delle consegne a domicilio del cibo attualmente risulta profondamente ridimensionato, “vuoi per la visibilità delle proteste che ci sono state da parte dei lavoratori, vuoi per il susseguirsi delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto i principali operatori del settore, vuoi perché il quadro normativo è ancora in definizione per via della discussione della direttiva sul lavoro di piattaforma al Parlamento europeo e in Consiglio europeo”, conclude Deliverance Milano. Ma vuoi anche, e soprattutto, perché pare sia cambiato l’orientamento generale degli investitori verso questo segmento economico che ha dimostrato a più riprese tutti i suoi limiti dal punto di vista della redditività e dello scontro tra competitor, e pare che la bolla del delivery stia scoppiando, non certo come si aspettavano gli “scommettitori” della prima ora.