Con la sua presa di posizione a favore di un “congelamento” della protezione intellettuale sui vaccini anti- Covid, Joe Biden ha conquistato la prima tappa di un percorso che potrebbe portarlo a diventare non solo il leader dell’America ma un leader globale. Nel corso di una riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio, il rappresentate commerciale statunitense, Katherine Tai, si è schierata a favore di India e Sudafrica – ma soprattutto contro la posizione di Gran Bretagna e Europa – e ha chiesto a Big Pharma di rinunciare ai brevetti sui vaccini anti-Covid: “Siamo davanti a una crisi sanitaria globale e le straordinarie circostanze della pandemia da Covid-19 richiedono provvedimenti straordinari”, ha fatto sapere Tai. E ha precisato che “l’amministrazione crede fermamente nelle protezioni della proprietà intellettuale, ma con l’obiettivo di mettere fine a questa pandemia sostiene una rinuncia a quelle protezioni per i vaccini contro il Covid-19”. Inutile sottolineare la reazione delle case farmaceutiche che hanno parlato “di un passo senza precedenti che minerà la nostra risposta globale alla pandemia e comprometterà la sicurezza. Questa decisione genererà confusione tra partner pubblici e privati, indebolirà già fragili catene di forniture e alimenterà la proliferazione di vaccini contraffatti”.
Il valore del brevetto
Nella guida Malati! (che si può acquistare qui) abbiamo raccolto non solo i principali scandali che hanno coinvolti negli ultimi anni Big Pharma ma abbiamo ricostruito le procedure di approvazione di un farmaco (o di un vaccino). Vale la pena ricordare quale sia il valore di un brevetto su un farmaco per capire la portata innovativa della posizione statunitense.
Le finalità del brevetto sono essenzialmente quelle di permettere a chi ha investito tempo e risorse di recuperare i costi necessari per lo sviluppo del farmaco e vedere riconosciuto l’impegno profuso nelle diverse fasi della ricerca. In genere il brevetto farmaceutico dura venti anni a partire dalla data di deposito. In alcuni casi la normativa consente l’estensione fino a un massimo di cinque anni dalla sua scadenza per permettere di recuperare, almeno parzialmente, i lunghi tempi necessari per lo sviluppo del farmaco e la sua immissione in commercio. Il brevetto non decorre però dal momento in cui il farmaco ottiene l’autorizzazione all’immissione in commercio, bensì dal momento in cui ne viene chiesto il diritto esclusivo di sfruttamento, che avviene in genere tra la fase 0 e la fase 1 della ricerca. In pratica, alle aziende del farmaco restano in genere, su 20 anni, circa 10 anni di commercializzazione per rientrare dei propri investimenti.
La via per un compromesso
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Detto questo, è comprensibile, da un lato, il disappunto delle case farmaceutiche dall’altro quanto saranno difficili i negoziati all’interno del WTO. Tuttavia a Biden va dato il merito di aver dato un segnale di rottura verso il passato e il fatto che questo segnale venga dal presidente della nazione che più di ogni altra ha sempre appoggiato le rivendicazioni di Big Pharma ha ancora più valore. Cosa accadrà adesso? Aldilà della riuscita o meno del negoziato le case farmaceutiche potrebbero fare una contromossa: potrebbe ad esempio moltiplicare le donazioni di dosi finora effettuate e giudicate scarse a vantaggio dei paesi poveri, cercando di migliorare la sua immagine con sforzi di maggior equità. Già nelle ultime ore l’associazione di settore ha voluto rivendicare che “i produttori biofarmaceutici sono pienamente impegnati a fornire accesso globale ai veccini contro il Covid-19 e stanno collaborando in una maniera prima inimmaginabile”.