Sigarette, ecco come i big del tabacco si infiltrano nei social network

Lontani i tempi in cui Clark Gable, uno dei divi di Hollywood, avvolgeva il suo fascino in una nuvola di fumo e contribuiva – si seppe poi in modo interessato – alla causa dei big del tabacco. Oggi a rendere il fumo più “cool” non ci sarebbero più attori ma gli influencer dei social network. Insomma, l’obiettivo è lo stesso, il mezzo cambia.

Il divo Clark Gable sarebbe stato pagato dalle multinazionali del tabacco per promuovere le “bionde”

Secondo un report della ong statunitense TakeApart le principali aziende del settore –  Philip Morris International, British American Tobacco, Japan Tobacco International e Imperial Tobacco – avrebbero promosso campagne per favorire tra le giovani generazioni una nuova immagine della sigaretta. Di sicuro meno demonizzata. E allora ecco un fiorire di selfie di star di Facebook, Instagram o Twitter con sigaretta (accesa o spenta a seconda del caso) e pacchetti messi in secondo piano. Si tratterebbe insomma di casi di product placement, di pubblicità indiretta, subdola, nel quale in un contesto “normale” viene inserito un determinato oggetto. L’unico problema è che per legge è vietata la pubblicità sui derivati del tabacco.

La campagna “partita” dall’Italia

Secondo il report “Where there’s smoke” di TakeApart la campagna social promossa da British American Tabacco (Bat) arebbe partita in Italia e sarebbe stata rivolta a 33 paesi , coinvolgendo circa 400 influencer e generando più di 1.800 post: gli utenti raggiunti sono oltre 25milioni. Ma non sono da meno le altre campagne social “promosse” dagli altri big del settore. Scrive il mensile francese dei consumatori Que Choisir “gli influencer  ricevono 200 dollari al mese e 2 cartoni di sigarette”.

Uno dei post riportati nel dossier “Where there’s smoke”

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I produttori stabiliscono anche una serie di requisiti estetici. La fotografia deve evidenziare il prodotto, ma con delicatezza: l’utente non deve riconoscere l’annuncio, ma percepire il prodotto (noto cancerogeno, ricordiamolo) come socialmente approvato, inserito in un contesto “normale”.

La scelta dell’hashtag per i giovani

Uno dei post riportati nel dossier “Where there’s smoke”

In realtà nulla è casuale. Anche la scelta degli hashtag associati alle campagne è decisamente ragionata. Le parole che seguono il “#” devono essere semplici, invitare alla sfida, il viaggio, il movimento. L’obiettivo della campagna è quella di restituire alla sigaretta la sua immagine di prodotto “cool”, soprattutto tra i giovani dove, anche grazie alle politiche anti-fumo, il prodotto ha perso il suo appeal.

“Una pratica illegale”

Intanto gli autori del rapporto negli Usa hanno presentato un esposto alla Federal Trade Commission (FTC) affinché le multinazionali del tabacco cessino questo tipo di pubblicità occulta e questa opera di “normalizzare” il fumo specialmente tra i più giovani. In Italia, ma del resto anche in Europa, la pubblicità di prodotti derivati dal tabacco è vietata per legge.